Sono trascorsi otto anni da ‘Abrahadabra’ e dopo tutto questo tempo era lecito attendersi un capolavoro o comunque un album che segnasse in positivo la storia del black metal norvegese. Così purtroppo non è, la lunga gestazione non ha prodotto risultati tangibili in termini di songwriting e ‘Eonian’ si rivela un’altra delusione e perde il confronto a distanza con ‘Deep Calleth Upon Deep’ dei Satyricon. Smarriti tra elaborate sezioni orchestrali, nell’occasione affidate a Francesco Ferrini dei Fleshgod Apocalypse, arrangiamenti improbabili e cori epici, i Dimmu Borgir non riescono più a trovare un’identità precisa e la grandiosa produzione di Jens Bogren non basta a cancellare le perplessità. Il suono delle chitarre di Silenoz e Galder così come quello di batteria verranno presi a riferimento da una moltitudine di band appartenenti anche a scene differenti ma ciò che rimane dopo ripetuti ascolti è veramente poco e sbiadisce ancora di più se messo a paragone a materiale formidabile come quello di ‘Enthrone Darkness Triumphant’ e ‘Spiritual Black Dimensions’. Le tastiere di ‘Interdimensional Summit’ ricordano quelle dei Nightwish, ‘Council Of Wolves And Snakes’ tenta di evocare i fasti del passato ma l’impeto di Shagrath è svanito e ‘Lightbringer’ è forse l’unico pezzo in scaletta a trasmettere davvero un senso di malvagità arcano. Molto bella l’architettura sonora di ‘Alpha Aeon Omega’ che anticipa lo strumentale cinematico ‘Rite Of Passage’. Venticinque anni di attività andavano festeggiati in ben altro modo.