Alla base di questo disco c’è una forza creativa inarrestabile che mi ha riportato indietro nel tempo a ‘9 To 5’ dei Death Organ, uno dei dischi più belli in assoluto degli anni ‘90, ovvero ad uno dei primi progetti alternativi agli Spiritual Beggars di Michael Amott per il polistrumentista svedese. In seguito Per Wiberg si è unito agli Opeth per il Deliverance/Damnation tour e da quel momento ha contribuito in maniera decisiva all’evoluzione del sound della creatura di Mikael Åkerfeldt, fino a ‘Heritage’. Di lui ricordiamo anche le collaborazioni con Arch Enemy, Candlemass, Tiamat, Clutch e Kamchatka e quindi ritengo ci siano pochi dubbi sul fatto che siamo al cospetto di uno dei musicisti più influenti del panorama heavy scandinavo. Il debutto solista in questione è il risultato di un lungo processo di lavorazione ed offre un’esperienza uditiva avvincente. Sei canzoni, scevre da regole e definizioni di genere, che ne confermano la duttilità e l’estro distinguendosi per melodie facilmente memorizzabili, dissonanze e divagazioni in territori industrial, prog e space rock. Ma soprattutto sei canzoni che possiedono un piglio rock accentuato alla faccia di chi si sarebbe atteso virtuosismi tecnici o sperimentazioni fino al limite dell’ossessione. Karl Daniel Lidén (A Swarm Of The Sun, Crippled Black Phoenix) ha mixato e si è diviso le parti di batteria con Lars Sköld (Avatarium, Tiamat) mentre Billie Lindahl (Promise & The Monster) canta in ‘Let The Water Take Me Home’, ‘Anywhere The Blood Flows’, forse il pezzo migliore con un basso davvero trascinante, e ‘Pile Of Nothing’.