Il ‘Dissenso’ industriale non si è placato ma lasciato spazio ad un rigurgito heavy metal. Forse è dai tempi di ‘Fine’ che gli Infection Code nutrivano il desiderio di tornare alle proprie radici e recuperare quei valori classici che li hanno accompagnati nella crescita come musicisti, senza smarrire la visione moderna e apocalittica del futuro. ‘In.R.I’. è un album che scava pesantemente nel thrash e nel death, sia quello piu’ tecnico che quello grezzo di fine anni ‘80, e non sembra affatto accusare i cambi di formazione. ‘Slowly We Suffer’ e ‘The Cage’ - che vede la partecipazione di Andrea Marchisio degli Highlord - sono i pezzi che rappresentano al meglio un mutamento di forma ed essenza che permetterà alla band di trovare ancora piu’ consensi all’estero. ‘Where The Breath Ends’ si muove tra archi e sfuriate black metal mentre ‘New Rotten Flesh’ vomita addosso all’ascoltatore il rancore accumulato negli ultimi due anni. Gabriele Oltracqua e Riky Porzio tengono duro e la ‘Unholy Demo(n)cracy’ che regna nel gruppo piemontese pure stavolta è riuscita a determinare sforzi tali da schiantare la concorrenza ed imporsi a livelli impossibili da raggiungere per quasi tutti gli altri. Scorrendo i brani che compongono ‘In.R.I’ non si ha mai la sensazione di essere confinati in uno stile preciso. Quello che conta è l’attitudine, il verbo e la mente, la capacità di destreggiarsi nei meandri piu’ oscuri della musica estrema, la sfrontatezza con cui non ci si piega nei confronti dell’industria e si pongono le basi per un orizzonte di rumore.