Chiamatemi pure nostalgico ma quando ho ascoltato per la prima volta ‘Last Time’ mi è partito un embolo. In una situazione non certo florida per il mercato discografico, tra l’anniversario di due album storici come ‘Beneath The Remains’ e ‘Arise’, i Sepultura hanno saputo scrivere il loro singolo più efficace dai tempi di ‘Territory’ e ‘Roots Bloody Roots’. Roba da far venire il mal di testa a forza di cantare a squarciagola il ritornello. ‘Quadra’ però non è soltanto un pezzo o una manciata di soluzioni vincenti ma un concept intrigante – già in passato i brasiliani avevano dimostrato di saperci fare in tal senso con ‘A-Lex’ e ‘Kairos’ - ed un disco molto tecnico per una band che non ha nessuna intenzione di cedere il passo alle formazioni più giovani. La linea di continuità con ‘Messiah Machine’ è stata mantenuta, soprattutto a livello compositivo con iniezioni di musica tribale e prog in quantità. In più di un’occasione i riferimenti ai masterpiece degli anni ‘90, quando erano una priorità assoluta per Roadrunner e collaboravano con membri di Korn e Faith No More, sono palesi e vanno visti anche nell’ottica di una risposta all’operato dei fratelli Max e Igor Cavalera, che nell’ultimo biennio hanno spesso eseguito pezzi dell’epoca dal vivo. Derrick Green sembra a suo agio anche quando non deve muoversi in ambito hardcore-punk e le molteplici sfaccettature del songwriting, capace di riflettere al meglio il significato di ‘Quadra’, marcano a fuoco la nuova era della band. Eloy Casagrande è semplicemente un mostro dietro le pelli e più passa il tempo e più mi ricorda Ray Luzier per lo stile unico e l’abilità di incorporare elementi nuovi nel suo approccio allo strumento. Andreas Kisser macina riff in quantità impressionante ed il basso di Paulo Jr. spicca soprattutto nella prima parte che è decisamente old school. ‘Capital Enslavement’ soddisferà le esigenze di chi ama la componente tribale che si fonde col metal, ‘Isolation’ e ‘There’s No Second Chance’ sembrano scritte apposta per essere “rovesciate”, con violenza e cinismo, sul pubblico dal vivo mentre ‘Alì’ avrebbe potuto benissimo essere su ‘Chaos A.D.’. In chiusura troviamo ‘Fear, Pain, Chaos, Suffering’ ovvero i quattro elementi che sono alla base di qualsiasi disco metal che si rispetti.