Bisogna immediatamente fare una premessa. Se qualcuno pensa che gli Smashing Pumpkins siano ancora la formazione in grado di fare dischi come “Siamese Dream” o “Gish” è meglio proprio che non si avvicini a “Cyr”. La band di Billy Corgan, per trequarti in formato originale, è totalmente cambiata e non solo perché al basso non troviamo più la mitica D’Arcy. Il combo di Chicago, nel 2020, è un insieme di musicisti che suona come se ci trovassimo negli anni ottanta, con un approccio e un sound gelido e nebbioso, dove l’elettronica la fa da padrona e le chitarre sono un lontano miraggio. L’approccio fornito dalle zucche è decisamente più vicino ad “Adore”, lavoro che già nel 1998 fece storcere il muso ai fan della prima ora per il forte uso di elementi musicali che andavano oltre quello che sino ad allora eravamo abituati ad ascoltare. “Cyr” è un disco monumentale, perché contiene ben venti canzoni e un’ora e più di musica. Purtroppo quello che difetta è la qualità, perché da uno come Billy Corgan ci si aspetta sempre qualcosa di importante, anche se si mette a comporre un brano per il festival di Sanremo. Qui (ed ecco che si apre il confronto con il summenzionato “Adore”) non c’è nulla di buono o meglio niente che si possa ricordare o suonare in un concerto. Tantissime tastiere, chitarre assenti ingiustificate, voce che alla lunga stanca e batteria che si limita a un compitino quasi umiliante per un talento come Jimmy Chamberlain. Qualche canzone, su un numero di venti, c’è, vedi “Ramona” e “Minerva”, ma siamo lontani dagli standard di una “Pug” o “The Tale of Dusty and Pistol Pete” che contenevano omaggi ai Depeche Mode, ma una qualità di scrittura impressionante. A volte, ascoltando questo album, si ha l’idea di sfociare nel barocchismo musicale o nell’indulgenza verso gente come i Joy Division, senza però avere gusto per gli arrangiamenti nel primo caso e maledizione interiore nel secondo. Tutto scorre senza sussulti, anche se davvero c’è da capire perché gli Smashing Pumpkins esistano al giorno d’oggi. La risposta potrebbe essere scontata (dollari su dollari dettati dalla sempre fruttuosa reunion), ma in casi come questi davvero si corre concretamente il rischio di offuscare un nome storico del rock mondiale che tanto ha dato negli anni novanta, mettendosi per qualche tempo sullo stesso piano di band planetarie come Nirvana, Pearl Jam e altre ancora.