Sul mitico “Black Album” si è scritto e si è detto tantissimo dal lontano, ma fondamentale per la musica, anno 1991. Senza entrare nel merito di quanto questo album abbia, di fatto, dato un taglio radicale con il passato, possiamo senza dubbio affermare che è stato un lavoro fondamentale sia per i Metallica che per la storia del rock, in quanto ha sdoganato definitivamente l’heavy metal da fenomeno circoscritto, elevandolo a un qualcosa di maggiormente fruibile e a portata della massa. Per il trentennale di questo lavoro, i Metallica, tra le tante cosette in cantiere, hanno chiesto a svariati artisti di coverizzare le composizioni presenti sullo storico disco per dare luogo a un’incredibile compilation, i cui proventi verranno girati in beneficenza alla fondazione messa su dalla band (All Within My Hands). Essendo questo un parterre di eterogenea vastità, ogni musicista ha cercato di rendere propria la canzone che gli è stata sottoposta. Ci sono nomi molto importanti, come Corey Taylor che ha dato il suo importante contributo a “Holier Than Thou”, che si sono alternati ad altri di culto quale, tanto per fare un esempio, Jason Isbell che ha reso country la granitica “Sad But True”. A proposito di quest’ultima risultano elettrizzanti la potente versione messa in pratica dai Royal Blood e quella, invece, diversa nei contenuti, ma efficace nei fatti, di St. Vincent. “Enter Sandman” è stata rifatta da ben sei artisti: fedele all’originale è la reinterpretazione dei Weezer, mentre è più particolareggiata quella dei Ghost, accompagnata inizialmente da un piano triste e decadente. Ci sono nel lotto anche musicisti che non ti aspetti come Alessia Cara & The Warning, bravi a rendere ancora più radiofonica “Enter Sandman”, facendola sembrare quasi un prodotto proveniente da X Factor (quello americano!). Un altro nome pesante è quello di Dave Gahan dei Depeche Mode alle prese con una versione intima e toccante di “Nothing Else Matter”. Ritornando a “Holier Than Thou” è molto intrigante l’adattamento elettronico, condensato da forti chitarre, fornito dai Biffy Clyro che hanno dato una lettura alla song molto futurista. Un altro classico della band (“The Unforgiven”) ha visto i Cage The Elephant regalare un tocco minimalista e semiacustico, allo stesso modo del collega Jose Madero. Essendo un lavoro immane, ci sono tante versioni della stessa canzone e questo potrebbe, alla lunga, stancare l’ascoltatore, dal momento che siamo al cospetto di ben cinquantatre brani. La collaborazione più chiacchierata è sicuramente stata quella tra Elton John, Andrew Watt, Miley Cyrus, Chad Smith e Robert Trujillo che hanno reso ancora più “carne” da classifica la stranota “Nothing Else Matter”. Fa, invece, impressione sentire del rap in “Wherever I May Roam” (Chase &The Status). Si ritorna, di contro, su canoni tradizionali con i danesi Volbeat il cui cantato è fedele all’originale (“Don’t Tread On Me”), anche se in sede di ritornello ci sono delle importanti variazioni sul tema originale. Chi sta destando tanto clamore in questi ultimi anni sono gli asiatici The Hu e anche loro, chiaramente, non potevano mancare all’appuntamento fissato dai Metallica. “Through The Never” è stato il brano in cui si sono cimentati e, come era chiaro, lo hanno smembrato e fatto proprio, mettendo tanto grawl nelle parti cantate. Altro pezzo stravolto in toto è “The God That Failed” che è stato rivoltato come un calzino dagli Idles e stesso discorso vale per la sottovalutata “Of Wolf And Man” a cui i Goodnight, Texas hanno dato un tocco molto western e, allo stesso tempo, notturno. Sul finale del disco le cover si assottigliano. Quasi trap è “My Friend Of Misery” di Izia, a differenza di Rodrigo Y Gabriela che hanno spagnolizzato la velocissima “The Struggle Within” con il loro gioco di chitarre acustiche. Ci sono ancora altri artisti in questa lunghissima compilation (vedi i The Morning Jacket, tra l’altro), ma fare una recensione su tutto questo box monumentale sarebbe cosa impossibile. Qui abbiamo cercato di dare un’idea di quello che un fan può trovare al suo interno. La cosa migliore è sedersi e accendere lo stereo per gustarsi ogni singola canzone e capire come, ormai, il mondo Metallica sia qualcosa di così variegato ed eterogeneo. E se oggi stiamo ancora a parlare e a scrivere di un disco come il “Black Album”, a distanza di ben trent’anni dalla sua uscita, vuol dire che i ragazzi di San Francisco ci avevano visto giusto, quando decisero di rendere l’Heavy Metal un fenomeno di massa sdoganandolo dall’underground in cui era stato confinato sino ad allora.