Chi conosce la storia di Seattle e del grunge sa benissimo che i supergruppi ci sono sempre stati. Dai Temple Of The Dog ai Mad Season, passando per i seminali Brad, i musicisti della città della West Coast Americana hanno sempre voluto e saputo mescolarsi, unendo e distribuendo per bene le proprie idee e dando origine a dei capolavori che ancora oggi riescono ad emozionare a distanza di oltre trent’anni. Quindi non sorprende, anche se siamo in un periodo in cui il grunge è morto e sepolto, che nomi storici come Krist Novoselic, Matt Cameron e Kim Thayil abbiano deciso di unire le forze e mettere su questa band che vede la partecipazione di Bubba Dupree (Void), Jennifer Johnson e Jillian Raye con quest’ultima nota per essere anche la vocalist dei Giants In The Threes, altro progetto di culto dell’ex bassista dei Nirvana. Per chiudere il cerchio, alla produzione è stato chiamato uno storico mentore come Jack Endino, altro nome illustre di quella scena irripetibile. Con questo parterre eccezionale, in molti si sarebbero aspettati un lavoro nostalgico o, quantomeno, con sonorità che avrebbero riportato indietro con la mente a quanto scritto con eccezionale talento dai Nirvana e Soundgarden. In realtà non vi è nulla di tutto ciò in questo omonimo, dove sono le esperienze post Nirvana di Novoselic (Sweet 75 e Giants In The Threes) a prendere il sopravvento con un pugno di canzoni che, per lo più, sono acustiche e bucoliche. Il problema di fondo, però, è che i brani, che strizzano l’occhio ai Led Zeppelin del terzo album e al folk britannico degli anni settanta, sono deboli e poco incisivi, dal momento che mancano di melodie accattivanti e ritornelli che possano fare la differenza. Ad eccezione di “I Choose Me”, c’è poco di epocale e molto da scartare. Lo stesso può dirsi quando si ascolta qualche distorsione (molto morbida) che prova a far virare questo esordio su coordinate un pochino più boscaiole. Solo “Somewhere In Time” riesce a superare, a stento, la sufficienza e ciò rende davvero triste il tutto. Le ugole delle due vocalist sono, poi, prive di originalità e non hanno la classe delle sorelle Wilson (Heart), tanto per rimanere in tema di scena di Seattle e dintorni. Insomma, con nomi del genere, ci si sarebbe aspettato un disco non epocale (i vecchi tempi non ritornano più e dovremmo capirlo una volta e per tutte), ma almeno discreto e, soprattutto, godibile. Purtroppo non vi è nulla di tutto questo. Anzi, ad essere sinceri, questo 3RD SECRET è di una noia mortale.