Avere paura dei fantasmi è lecito. Mio figlio, appena sei anni, è terrorizzato dagli zombie ma anche i fantasmi lo intimoriscono abbastanza e sono certo che se gli facessi ascoltare questo disco mi chiederebbe di spegnere subito lo stereo. Il secondo quadro compositivo a cura di Jayn Maiyen, splendidamente incorniciato da Prophecy Productions, riprende le figure oscure interrotte sei anni fa con ‘Realms’ e ne inspessisce il tratto, usando molto bianco e nero e comunque colori esclusivamente tenui. L’autunno e l’inverno sono le stagioni preferite di questa sacerdotessa dello slowcore-doom che utilizza strumenti come il pianoforte o le percussioni per rendere i propri viaggi mentali marziali e inesorabili. La fantasia la spinge sulla riva di un oceano, su un colle impervio o dentro una stanza da manicomio vuoto e l’ascoltatore è costretto a seguirla, tra invettive folk, lunghe pause doom e passaggi di puro dark. La Maiyen ha suonato tutti gli strumenti, tranne una subliminale traccia percussiva concessa a Christopher Smith, e la sua personalità è fortissima, tanto da permettere di stilare paragoni con altre figure femminili ancestrali quali Chelsea Wolfe, Myrkur, Emily Highfield dei Suldusk o Sara Bianchin dei Messa. A tratti ‘The Buried Storm’ si muove su territori cari a Rome o Ordo Rosarius Equilibrio, altre volte si impone per la profondità delle sue atmosfere ed in altri frangenti ancora rasenta la musica sinfonica, con arrangiamenti impreziositi da lugubri archi – il violino di Lambert Segura ed i violoncelli di Arianna Mahsayeh, Melanie Chaplin e pure Ludvig Swärd dei Forndom - e voci sussurrate. Un’esperienza mistica e ritualistica che potrebbe cambiarvi la vita.