In fase di presentazione è stato sottolineato come il terzo lavoro in studio dell’artista gallese sia nato con una serie di sessioni senza preconcetti o aspettative di alcun tipo: un'esplorazione sfrenata nel subconscio creativo dell’autrice. Dato per scontato questo, ‘LP.8’ appare comunque come l’album meno originale di questa protagonista assoluta dell’elettronica mondiale. Meno originale intanto perché certe soluzioni, già presenti nell’epico debutto ed in ‘Inner Song’, sono state inevitabilmente ripetute ma soprattutto perché, forse per la prima volta, alcune influenze sono ormai palesi nel suo percorso (Alva Noto, Throbbing Gristle..). Per certi versi però questo è un pregio perché mai come adesso la sua opera si rivela accessibile a tutti, fonte di attrazione per gli sperimentatori in ambito techno e dream pop così come per chi ascolta vagamente la radio o non pone troppa attenzione ai dettagli tecnici o alla differenza tra synth analogici e digitali. Al suo interno vi troverete rovine industriali ma anche foreste mentali nelle quali perdervi amabilmente. La scaletta è pazzesca e incentrata su un approccio compositivo lineare eppure filosofico, accompagnato nei suoi crescendo emotivi e melodici da un personaggio non certo comodo come Lasse Marhaug (Merzbow, Sunn O))), Nash Kontroll, Paal Nilssen-Love ma anche Jenny Hval..). Tra Oslo e Londra sono nate atmosfere liquide, beat corrosivi e melodie sognanti che fanno venire voglia di club ma anche di spegnere la luce e chiudere gli occhi con la musica in sottofondo. Il potere cinematico del materiale è enorme e, tra divagazioni ambient e giri armonici più concreti (su tutti quelli di ‘One’ e ‘Sonic 8’), la sensazione è che dal vivo non ce ne sarà per nessuno.