Sulla serietà degli svedesi c’è poco da discutere. Parliamo di una band che ha fatto del viking metal una regola di vita e che ha portato avanti il proprio credo senza mai cadere in tentazione ed essere condizionata da trend o etichette. Il successore di ‘Fornaldarsagor’ è un altro capitolo imperdibile di una discografia che in pochi possono permettersi. Non solo siamo al cospetto di un lavoro in studio destinato a settare gli standard del genere per gli anni a venire ma ad un’opera d’arte che costringe l’ascoltatore a seguire con passione e interesse una storia nella quale tutti possono identificarsi. ‘Freyrs Blod’ inaugura una scaletta priva di cali di tensione, scellerata e aggressiva quando il momento lo richiede e struggente quando melodie ataviche e arrangiamenti signorili prendono il sopravvento. Erik Grawsiö narra di re, guerrieri e battaglie con voce pulita ma anche cupi growl e feroci grida belligeranti e la versione inglese di ‘The Wolfheart’ rappresenta il climax di un percorso compositivo che ha spinto Markus Andé a recuperare le proprie radici. Gli ospiti Jonne Järvelä (Korpiklaani), Robse Dahn (Equilibrium) e Pär Hulkoff (Raubtier) rendono più vario l’ascolto e la ballata ‘En snara av guld’, cantata dalla figlia del frontman Lea Grawsiö Lindström, e l’acustica ‘Hågkomst av ett liv’, dove appare Ellinor Videfors, potrebbero allargare una fanbase già consistente, in attesa di un tour che faccia giustizia su questo materiale imperioso.