Mi sono ripromesso di non parlare del passato in questa recensione. So bene che molti di voi vorranno sapere a quale capitolo discografico si avvicina maggiormente ‘Closure/Continuation’ e magari altri saranno curiosi di conoscere il motivo di tanta attesa. Personalmente credo che questi aspetti siano del tutto irrilevanti e passino in secondo piano rispetto ad una scaletta che ci riconsegna il più grande gruppo progressive rock inglese dei nostri tempi a livelli inarrivabili per buona parte della concorrenza. Sono trascorsi tredici anni dall’uscita di ‘The Incident’, curiosamente il successo commerciale più significativo del gruppo, e nel frattempo Steven Wilson si è concesso anima e corpo alla carriera solista, mantenendo il più accesi possibili gli spiriti di Blackfield e Bass Communion, ottenendo un successo di critica e pubblico che forse neppure lui si aspettava. Pure Richard Barbieri ha lavorato a materiale solista mentre Gavin Harrison si è unito ai Pineapple Thief e ha trovato in Bruce Soord un altro leader capace di ascoltarlo. Non è della partita Colin Edwin ed in tour la band sarà completata dal bassista Nathan Navarro (Devin Townsend) e dal chitarrista Randy McStine (Lo-Fi Resistance), ma il basso non è certo in secondo piano. Al contrario ‘Harridan’ si apre con un giro di quattro corde vorticoso che prelude ad uno stacco vocale imperioso. A quel punto succede di tutto, l’atmosfera si fa improvvisamente oscura e ogni strumento inizia a pretendere il dominio. C’è anche un po’ di ‘The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)’ e ‘Hand. Cannot. Erase.’, ma sarebbe stato strano il contrario. ‘Of The New Day’ e ‘Dignity’ sono forse i pezzi che metteranno più a proprio agio i vecchi fan del gruppo, ma non aspettatevi un viaggio immune da scossoni, tra tempeste strumentali e visioni paradisiache in aperto contrasto con riflussi infernali. La visione di Steven Wilson, pure ora che è padre di famiglia e appagato dal punto di vista economico, non può che essere la stessa di sempre e non si tratta solo di una visione specifica - sull’approccio compositivo, la produzione, il mixaggio e così via - ma di una determinazione feroce nel accettare e vincere anche le sfide più complicate. Solo così si spiegano i sette minuti di ‘Herd Culling’ e gli undici finali di ‘Never Have/Love In The Past Tense’. I Porcupine Tree continuano a guardare tutti dall’alto, senza criticare o esprimere giudizi. In questi anni ci hanno semplicemente osservato e adesso, dopo tutto questo tempo e una manciata di trend nefasti per la storia della musica, sono tornati permettendosi di irridere chiunque.