Il seguito di ‘Uppers’ è un album dal doppio volto. Per certi versi vi sembrerà di sentire gli inglesi a proprio agio tra melodie e invettive liriche simili a quelle di tre anni fa, però in più di un episodio scoprirete una band totalmente nuova, con influenze differenti ed un profilo internazionale spiccato. Non so se il termine post-punk sia adatto a descrivere questa scaletta, ma di sicuro l’acume politico del quartetto londinese la caratterizza e le invettive industrial o per intenderci alla Idles non mancano. La sensazione è che l’album precedente fosse un disco da suonare dall’inizio alla fine in tour mentre questo sia leggermente più ricercato e costruito su tre-quattro potenziali singoli, che potrebbero accrescere la fanbase di riferimento. La scena è piuttosto oberata al momento quindi non so se i TV Priest riusciranno a “bucare lo schermo”, eppure le potenzialità le hanno tutte e pezzi come ‘One Easy Thing’, promosso col bellissimo videoclip girato da Joe Wheatley, e ‘I Have Learnt Nothing’ segnano dei progressi importanti. In ‘Bury Me In My Shoes’, ‘It Was A Gift’ e soprattutto nella conclusiva ‘Sunland’, la voce di Charlie Drinkwater si accende mentre Ed Kelland dimostra tutto il suo talento dietro le pelli nelle tirate ‘My Other People’ e ‘The Breakers’.