Una lunga pausa per riposarsi dalle fatiche del tour, togliersi di dosso manager e discografici, ma soprattutto recuperare energie e voce. A otto anni di distanza da ‘Caustic Love’, un disco controverso che alcuni ritengono il suo apici ed altri hanno ritenuto inferiore agli esordi, il cantautore originario di Paisley cita i Verve e ci regala un lavoro in studio magnifico, immerso nel dark e nel blues e lontano dagli standard indie-pop che un po’ tutti stiamo cominciando a odiare. ‘Last Night In The Bittersweet’ non è soltanto una raccolta di grandi canzoni ma un album che trasmette un senso di urgenza ormai totalmente assente nella musica di oggi. Invece di propendere per una produzione folgorante e mainstream, Paolo Nutini è tornato alle origini, aggiungendo qualche citazione intrigante – il sample del monologo di Patrica Arquette da Una vita al massimo così come alcune referenze a Primal Scream e Phoebe Bridges che non passano inosservate – ma soprattutto lasciando emergere chitarra, voce, influenze blues e nient’altro. La produzione è organica da morire, alcune tracce sembrano addirittura registrate in presa live e la sensazione è che l’artista abbia fatto di tutto per ricreare l’atmosfera che ha reso le sue esibizioni dal vivo memorabili. Stupende ‘Through The Echoes’, ‘Children of the Stars’ e ‘Lose It’, che hanno tutto per scalare le classifiche, ma le strutture compositive funzionano anche quando si esce dai connotati radiofonici. A volte la maturità si rivela sorprendente e, visto come sta rispondendo il mercato anglosassone, se n’è accorto pure il pubblico.