Portare per la prima volta in Italia gli svedesi mascherati è stato qualcosa di incredibile e davvero difficile da dimenticare. La loro esibizione a Serravalle Rock rimarrà nella storia del festival, giunto nel frattempo alla sesta edizione, e indelebile nella mente dei presenti. All’epoca i Priest avevano da poco pubblicato l’esordio ‘New Flesh’ e in pochi conoscevano la loro tenace propensione per la musica industriale e il sadomaso. A poco a poco la loro fama è cresciuta grazie al passaparola della rete ma soprattutto ad una performance più evocativa dell’altra e sinceramente in quel periodo facevo fatica pure solo ad immaginare un secondo full lenght. Questo non soltanto perché ‘New Flesh’ nella mia testa era perfetto e difficilmente migliorabile, ma perché la visione era talmente precisa e definita che non vedevo il senso di rischiare che si deturpasse nella confusione dell’industria discografica. Poi è arrivato ‘Cyberhead’, la scossa è stata fortissima e l’attenzione si è spostata su fondali cyberpunk e una manciata di potenziali hit da dancefloor. Una dimensione più pop che non è stata messa da parte o rinnegata sebbene questo terzo capitolo sia senza dubbio più vicino al debutto. ‘Signal In The Noise’ e ‘Techno Girl’ – divertente il video girato da Vicente Cordero e Claudio Marino con Little Grudge come protagonista - sono stati scelti come singoli, oltre che per il fatto che si fissano nella materia cerebrale come chiodi, perché rappresentano l’esatto compromesso tra i due lavori in studio precedenti. Mercury è semplicemente geniale e la sua voce è cresciuta ancora e si rivela perfetta per esaltare influenze che vanno dai Depeche Mode al punk, dall’ebm ai Bauhaus, dai Pet Shop Boys alla darkwave. Nella memoria rimane il fatto che il trio, a livelli differenti, abbia fatto parte del fenomeno Ghost, quando era ancora qualcosa di vicino al concetto di band e Tobias Forge non era guidato da deliri di onnipotenza, ma ‘Body Machine’ è così pungente che si può benissimo separare le due realtà. Simon Söderberg, membro di Tid e Magna Carta Cartel - da poco nei negozi con ‘The Dying Option’ - e chitarrista e produttore di ‘Opus Eponymous’, ha contribuito a rendere prezioso il materiale ed il resto lo fanno pezzi clamorosi come ‘Ghost Writer’, Blacklisted’ e ‘Nightcrawler’, che dal vivo mieteranno vittime. Salt e Sulfur si muovono come macchine al fianco del leader accrescendo in modo quasi letale l’attesa del prossimo tour. Una gemma di elettronica pulsante, melodie contagiose e rovine industriali che non deve mancare nella vostra collezione.