Qualcuno, che ha davvero a cuore la reputazione di Billy Corgan, lo fermi prima che sia troppo tardi. Incurante degli ultimi modesti dischi a firma Smashing Pumpkins, il leader della band di Chicago non vuole mollare la presa e nei mesi scorsi ha annunciato al mondo l’uscita di una trilogia di dischi che dovranno dare vita a una mastodontica opera rock dal titolo “Atum”. A quello appena uscito in questi giorni, faranno poi seguito altri due platter che vedranno la luce rispettivamente a gennaio e aprile 2023. Tornando al primo atto di “Atum” non sappiamo da dove dover iniziare, perché ci si spezza il cuore a pensare cosa erano negli anni novanta Chamberlain e soci e come, invece, si sono trasformati e diventati nel 2022. Della furia iconoclasta di una formazione che ha fatto la storia dell’alternative degli anni novanta, ma molto probabilmente del rock dai tempi di Elvis, davvero non è rimasto più nulla. Le chitarre sono diventate un lontanissimo ricordo e l’elettronica, quella più barocca e priva di reali contenuti artistici, si è impadronita del loro sound, facendo apparire un lavoro contradditorio come “Adore” una sorta di “Reign In Blood” a confronto. Il problema non è, poi, tanto quello di volere sperimentare nuovi territori o cercare strade diverse dalla propria comfort zone, perché è un diritto che ogni artista ha e su questo crediamo non ci sia nulla da obiettare. Il dramma, quello reale, è che le canzoni fanno letteralmente acqua da tutte le parti, perché, oltre a non essere rock, non hanno melodia (la voce di Corgan, poi, non aiuta) e sono prive di qualsiasi ispirazione. E’ questo quello che davvero fa più male, perché ad ascoltare brani censurabili come “Hooray!”, “Butterfly Suite” o “The Gold Musk” ci si viene da chiedere se gli autori siano gli stessi che hanno scritto capolavori immortali come “Bullet With The Butterfly Wings”, “Today” e “Hummer”, tanto per citare qualche pezzo che rimane inarrivabile per il 99% dei loro colleghi in attività. Oggi, purtroppo, gli Smashing Pumpkins sono un’entità senza anima, priva di contenuti artistici validi e di quell’ispirazione minima che consentirebbe loro di navigare con serenità nel mare tormentato delle critiche che ci sono da sempre. E se “Atum Act I” è così deficitario, non osiamo pensare agli altri due sequel in arrivo nel 2023. Che brutta fine.