Il successore di ‘Missing’ vede finalmente la luce e ritroviamo i fratelli di Riva del Garda a livelli altissimi. Il primo impatto con il loro terzo album è di stampo elettronico, la produzione è cresciuta molto e pezzi strepitosi come ‘Leash Died (Shouldn’t Cry)’ e ‘White Skin’ riportano alla mente i Tame Impala con voce filtrata, un ritmo avvolgente e l’eccellente lavoro dietro le pelli di Neri Bendinelli. Con il passare dei minuti la scaletta si fa più varia e emergono retaggi del passato (‘Hate Me’), ma anche passaggi nei quali Giacomo Oberti dimostra di essere un compositore di spessore internazionale. Lo provano tutte le date all’estero che il gruppo è riuscito a organizzare in periodi non certo semplici e il bilanciamento ottenuto tra analogico e digitale permette di godere di un ascolto avvincente dall’inizio alla fine, purtroppo sono sempre meno le esperienze di questo tipo, ed allo stesso tempo immaginare una trasposizione dal vivo da brividi. Gli arrangiamenti si mostrano ricchi di sfumature, in bilico tra new wave e pop rock, e spigoli su cui sbattere a più riprese. Si batte la testa appunto, e ogni volta si scopre qualcosa di nuovo, nel cantato, nelle note sprigionate dai sintetizzatori o nelle tracce circolari lasciate dai beat. La tastiera e la voce di Maddalena Oberti, sguardo letale e talento pure come regista, dominano in ‘Bury Me Softly’ e lo scenario cupo e romantico di ‘Lighters And Lovers’, mixato da Michele Guberti (Zagreb), si svela in tutta la sua potenza con ‘Kill My Name’ e ‘Guns Of Grace’, impreziosita dalla presenza del rapper britannico SBK. Le citazioni punk e dream pop non sono mai forzate e la maturità è stata raggiunta sviluppando un suono personale, che non teme paragoni.