Bisogna davvero essere radicali per essere romantici al giorno d’oggi. Là fuori tutto fa schifo, veniamo delusi e violentati continuamente ed i nostri diritti sono trattati come merce da scambio. Mi viene da ridere pensando a tutte le persone che hanno conosciuto il progetto solista di Karin Dreijer dei The Knife (purtroppo fermi a ‘Shaking The Habitual’ di dieci anni fa e non intenzionati a riformarsi) solo per la sigla della serie televisiva Vikings, eppure è così. Magari quel pezzo tanto evocativo avrà insegnato a qualcuno che si devono approfondire certi scenari, ma dietro a Fever Ray c’è un universo di musica, dai Röyksopp a capolavori come ‘Deep Cuts’ e ‘Silent Shout’. La novità più grande dopo ‘Plunge’ è rappresentata la presenza tra i collaboratori, oltre all’immancabile fratello Olof, di Trent Reznor e Atticus Ross quindi dei Nine Inch Nails e degli autori delle magnifiche musiche di The Social Network, Bird Box e Empire Of Light. Le citazioni cinematografiche in ogni caso si sprecano e tra i crediti troviamo pure i produttori Nídia (‘Looking For A Ghost’) a Johannes Berglund e soprattutto Vessel, che ha contribuito in maniera decisiva a ‘Carbon Dioxide’. Il pezzo più legato al passato è senza dubbio ‘Kandy’, il cui riscontro tra i seguaci di sempre sarà clamoroso, ma in scaletta spiccano anche ‘What They Call Us’, ‘Shiver’ e ‘Even It Out’, tutti passaggi che regalano sfumature diverse della voce di Karin e permettono a chi si pone all’ascolto di entrare di forza in un immaginario tanto sgargiante quanto spaventoso. Un disco eccentrico e ridondante, da avere a tutti i costi.