Di recente sono stato invitato a tenere un seminario su Billie Holiday, presso lo splendido Spazio Zero di Casalguidi, e quindi so bene quanto possa essere sconvolgente la sua storia. Non parliamo di una cantante qualunque, ma di una delle più grandi cantanti di tutti i tempi se non addirittura della più grande voce di sempre. Eppure la sua vita è stata un continuo strazio, distrutta dalla dipendenza dall’eroina e dall’accanimento subito dal FBN di Harry J. Anslinger. Quando è pervenuto in redazione questo omaggio sono rimasto subito colpito dall’accento sperimentale che i due autori hanno voluto donare all’opera, contaminata da sonorità rock ed elettroniche e ricca di sample e di parti in cui la voce di Billie Holiday mette davvero i brividi. A non stupirmi affatto è stato il fatto che uno dei due musicisti coinvolti è Giovanni Dal Monte, che in passato ha studiato Nosferatu e John Zorn ma soprattutto ha contribuito a rendere Otto; or up with dead people di Bruce LaBruce il capolavoro assoluto che è. Al suo fianco troviamo Alessandro Petrillo, di cui ricordo la reprise di ‘Closing’ di Philip Glass nel debutto come Nei Shi. In scaletta spiccano le toccanti versioni di ‘Lover Man’ e ‘Strange Fruit’, ma forse solo perché sono tra le canzoni più conosciute di Lady Day. Anche l’arrangiamento di ‘Come Rain Or Come Shine’ merita di essere incensato ed in generale siamo al cospetto di un tributo rispettoso e pensato per incuriosire e compiere qualche ricerca. In chiusura mi piace ricordare che Billie Holiday amava tenere una gardenia tra i capelli, tanto che diventò il suo simbolo distintivo, non tanto per il significato del fiore, associato alla sincerità ed alla purezza d’animo, quanto per il fatto che gli impresari dei locali per bianchi in cui si esibiva la lasciavano chiusa in camerino fino all’inizio del concerto affermando che anche se avesse indossato la più bella delle gardenia sarebbe stata sempre una “negra”.