Il quarto lavoro in studio dei francesi risulta cangiante esattamente come il volto in copertina. Quello sguardo è letale, ma i contorni potrebbero mutare in qualsiasi momento e non parliamo di maschere come quelle utilizzate da qualche band contemporanea per accendere il mistero dietro alle loro release. Parliamo di sonorità che non possono essere classificate, che ci fanno ricordare quanto amavamo il post-punk e la new wave ma allo stesso tempo sconfinano in territori jazz, alternative rock o di avanguardia. ‘Deer Fight’ inizia audace e marziale, ‘Sturm’ e ‘Body Memory’ evocano i Velvet Underground e Einstürzende Neubauten ma alcuni hanno parlato anche di Tuxedomoon, Morphine e Portishead. Per forza accade questo. Perché ‘State Of Fear’, ancora di più del precedente ‘ The Dust Of Our Dreams’ non conosce confini. É un album che prende l’ascoltatore e lo rapisce, lo prende a schiaffi quando c’è da alzare la tensione e lo ammalia quando la nebbia cala. La densità compositiva non cala mezzo secondo e l’intensità con cui Clément Barbier, Laurent Macaigne e Simon Thomy suonano i loro strumenti è sul serio rara da trovare in circolazione. Mi auguro di poterli vedere presto dal vivo e qui mi rivolgo ai promoter. Invece di riproporre sempre le stesse cose, date fiducia a chi la musica la scrive e la suona davvero.