Sono ormai diversi mesi che ascolto la prima parte di questo ambizioso doppio album, con cui gli americani si sono messi alle spalle un periodo molto oscuro della loro esistenza, e sinceramente non riesco a trovare difetti. Il tour con i Queens Of The Stone Age (anche loro tra poco nei negozi con l’atteso ‘In Times New Roman...’), citati con l’andamento sbilenco di ‘Bird In The Hand’, è stato di grande importanza per una band che ha dovuto dimostrare a tutto il mondo di non essere soltanto un prodotto della cultura reazionaria e revivalistica, ma di sapere donare spunti nuovi alla scena rock internazionale. Il successore di ‘Feral Roots’ è sostanzialmente diviso in due. La prima parte, ‘Darkfighter’, ha una natura densa e oscura. Il protagonista si trova a combattere questa oscurità che ha dentro e vede l’isolamento come un lupo che ringhia alla porta. Deve impedirgli di entrare e fare in modo di allontanare il pericolo. Il secondo disco invece si intitolerà ‘Lightbringer’ e, almeno in previsione, ci spiegherà come ritrovare la luce. Nel frattempo il songwriting si è fatto ancora più diretto e onesto, Dave Cobb (produttore tra gli altri di Blackberry Smoke e Jason Isbell And The 400 Unit) ha ripulito molto in fase di produzione, Scott Holiday è il solito guitar hero sfacciato e prestante che piace tanto alle adolescenti, ma il vero motore dei Rival Sons rimane Jay Buchanan. Definire la sua voce è complicato perché paragonandolo alle icone del passato si rischia di farlo passare per derivativo e basta e non facendolo si rischia di sminuirlo. La sua performance è stellare (‘Nobody Wants To Die e ‘Bright Light’) e in scaletta si passa da pezzi dichiaratamente live oriented ad altri in equilibrio tra la strabordante elettricità dei Led Zeppelin e ritmiche potenti che chiamano in causa gli Alter Bridge, con risvolti melodici di gran classe e un innegabile background blues e southern. Altri influenze sono più oscure e dannate. Lo spettro di Howlin’ Wolf aleggia infatti nell’aria così come alcuni agganci alla discografia di Muddy Waters e Black Crowes, per non parlare di Atlanta Rhythm Section e Allman Brothers. Un album per nostalgici ma anche per le nuove leve di ascoltatori, un album che ci permette di respirare quel feeling e quella autenticità che la musica di oggi ha purtroppo smarrito, nella speranza che il rock torni a scalare le classifiche.