Il rischio a pubblicare album del genere è di non essere capiti dalle nuove generazioni e soprattutto di deludere chi li segue dagli esordi, ma i Rancid non sono un gruppo come gli altri. Se ne fregano. Le regole del mercato non fanno per loro e così, invece di dare alle stampe una raccolta di scopiazzature di singoli del passato, hanno registrato sedici pezzi crudi, prodotti da Brett Gurewitz, collaboratore di lunga data della band, nonché chitarrista dei Bad Religion e fondatore della Epitaph (tra l’altro la label dopo qualche periodo difficile potrebbe rilanciarsi con questa release). Di questi sedici pezzi non tutti sono memorabili però l’energia è quella che conosciamo bene e nelle setlist del prossimo tour non sfigureranno affatto al fianco dei classici. Tim Armstrong è invecchiato e il suo fascino sulle ragazze non è più lo stesso, eppure la partenza è di quelle che fanno male e brani come ‘It’s a Road to Righteousness’, ‘Drop Dead Inn’ e ‘When The Smoke Clears’ sono scritti appositamente per fare sfaceli dal vivo. È punk, fatto bene, corrosivo e potente. Rispetto a ‘Trouble Maker’, il basso di Matt Freeman è più in evidenza nel mixaggio e Lars Frederiksen è la solita furia. ‘New American’ sa tanto di nostalgia per gli anni novanta, quando tutto è nato, mentre ‘Prisoner’s Song’ è un omaggio palese a ‘...And Out Come the Wolves’. Bravi a non perdersi ed a non finire nel giro delle macchiette.