È sufficiente ascoltare ‘Hymn 66’ per rendersi conto di quanto sia ancora bravo Jacob Hansen. I KK’s Priest non sono una band. Sono musicisti che scavano negli archivi per suscitare l’interesse di chi è cresciuto con i Judas Priest e dischi come ‘Screaming For Vengeance’, ‘Defenders Of The Faith’ o ‘Painkiller’. Le canzoni sono un insieme di riff, assoli, parti vocali e atmosfere assortite per scatenare l’effetto nostalgico ed il produttore danese ha saputo rendere questo miscuglio funzionale ed a tratti vincente. Tim “Ripper” Owens ha ricoperto il suo ruolo in maniera diligente e K.K. Downing ha lasciato emergere la propria classe cercando di rendere le canzoni più varie rispetto a quelle dell’esordio di due anni orsono. Nelle scorse settimane ‘The Sinner Rides Again’ è stato definito l’emblema di un richiamo alla classicità, espresso da alcuni tra gli artisti più essenziali della scena heavy metal. Sinceramente trovo tutto questo profondamente noioso. Non che si debba per forza guardare al futuro, ma a certi proclami preferirei un po’ più di sostanza. In tal senso, mentre il primo lavoro era il classico progetto da studio in questo caso si ha l’impressione che la dimensione live abbia influito un po’ di più sull’approccio compositivo. Niente da strapparsi i capelli dalla testa sia chiaro, ma sentire duettare K.K. Downing con A.J. Mills è divertente e pezzi come ‘One More Shot At Glory’ e ‘Wash Away Your Sins’, oltre al suddetto singolo, sapranno attrarre i difensori della fede metallica, incuranti di trend e social network.