Ogni tanto Page Hamilton ricorda al mondo intero che è vivo e vegeto e, pertanto, ricaccia dalla valigia dei propri e dei nostri ricordi la sua creatura più amata, ovvero gli Helmet. Sono chiaramente lontanissimi i tempi in cui gli americani incutevano paura con il loro sound fatto di distorsioni, noise e industrial, come se avessero voluto riecheggiare le ansie che una metropoli come New York poteva regalare a chi ci era nato e cresciuto da sempre. Oggi questa band non ha più tra le proprie fila una coppia ritmica mastodontica come quella formata da Henry Bogdan (che vive alle Hawaii, beato lui) e John Stanier, impegnato, invece, in numerosi progetti dalle dimensioni multiformi. Quindi Hamilton se la suona e se la canta insieme a dei discreti compagni di viaggio e con “Left” si rialza dopo qualche episodio meno riuscito dell’ultimo periodo. Qui il chitarrista/cantante cerca di ritornare alle sonorità di quel capolavoro che risponde al nome di “Betty”, trovando delle soluzioni melodiche trasversali che da sempre sono un suo marchio di fabbrica. L’opener “Holiday” ha un ottimo ritornello, così come “Gun Fluf” che si stende sul solito tappeto di chitarre che ogni fan degli Helmet dovrebbe conoscere a menadito. Discorso identico, o quasi, si può fare per l’ottima “Powder Puff” e per “Make Up” che sarebbero state significative anche se fossero state fatte uscire nell’epoca in cui l’alternative dominava le classifiche di tutto il mondo, Italia compresa. Si è detto di “Betty” e chi sa a memoria quel lavoro, dovrebbe ricordarsi che erano presenti un paio di tracce sui generis che avevano il pregio di spezzare la durezza di un disco potente quanto il granito. Ecco, allora, che su “Left” si materializzano delle vere e proprie continuazioni di quelle gemme particolari, grazie alla lenta e molto blues “Tell Me Again” (che prende a piene mani da “Sam Hell) e alla cover di “Resolution” di John Coltrane che è totalmente sovrapponibile a “Beautiful Love”. In questo modo ai cinquantenni di oggi non può che scendere una lacrima, ricordando i tempi che furono e che non ritorneranno mai più. Tirando le somme, Page Hamilton ci ricorda che lui c’è, c’era e ci sarà sempre e che quando vuole ha ancora la forza di tirare fuori un album discreto che non ha l’ispirazione dei capolavori di un tempo, ma che possiede, allo stesso tempo, la forza di mantenersi in piedi con una dignità che in pochi si possono permettere.