E così arrivò la riedizione rimasterizzata del catalogo dei Van Halen, il Mark II, quello per intenderci con Sammy Hagar dietro al microfono. Ora, al netto delle discussioni che parlano ancora adesso di una band totalmente diversa con il red rocker alla voce (su questo siamo completamente d’accordo), quello che è importante sottolineare riguarda l’importanza del patrimonio artistico dei dischi fatti uscire dai fratelli Van Halen dopo l’abbandono, neanche troppo inatteso, di David Lee Roth. Oggi, a tanti anni di distanza, si può tranquillamente affermare che gli album presenti in questa raccolta (“5150”, “OU812”, “F.U.C.K.” e “BALANCE”) siano dei lavori ottimi, con al loro interno delle grandissime canzoni che, con questa rimasterizzazione, brillano ancora di più. Non si può negare che anche in questa fase della loro carriera i Van Hagar (mettiamola così) abbiano scritto canzoni immortali che sono lì a ricordarci quanto fossero grandi, anche se diversi dagli esordi. Riascoltare “Mine All Mine”, “Cabo Wabo”, “Summer Nights”, “Poundcake” e “Amsterdam”, tanto per citare qualche brano buttato qui a caso, mette davvero i brividi. Il modo paradisiaco di suonare la chitarra di Eddie, i cori ineccepibili di Micheal Anthony, il drumming puntuale di Alex Van Halen e il cantato stridulo di Hagar sono il marchio di fabbrica indelebile di quattro signori che hanno fatto la storia e che andrebbero riscoperti da parte di chi ha ritenuto che i Van Halen fossero terminati con “1984”. Ora, in questa raccolta, si trova anche la chicca rappresentata dalle rarità che, poi, per chi conosce la band, tali non sono affatto. Si tratta di otto canzoni edite che è opportuno andare a ripassare per chi non ha avuto modo di apprezzarle quando sono venute alla luce. La cover di “A Apolitical Blues” di Little Feat è un vero e proprio blues uscito come bonus track di “OU812” e presente sui cd e le musicassette dell’epoca. Stesso discorso vale per lo struggente strumentale “Baluchiterium” che lo si trovava anche qui sugli stessi supporti, ma chiaramente su un album differente, ovvero “Balance”. Una chicca è sicuramente la cupissima “Crossing Over”, b-side di “Can’t Stop Lovin’You” che aveva tutti i crismi per poter essere collocata sul succitato “Balance”. Quello che più fa rabbia, invece, è non aver mai inserito su un lavoro ufficiale (a parte il “The Best” del 1997) un capolavoro come “Humans Being”, brano presente sulla colonna sonora di “Twister”, come anche “Respect The Wind”, che ha tutte le caratteristiche di una perla a firma Van Halen. Qui si trovano i cori ineccepibili, le melodie ariose, la solita chitarra travolgente e un Hagar ispirato come non mai. Chissà perché tanto spreco! Infine le rarità terminano con gli ultimi tre brani, al secolo “It’s About Time”, “Up For The Breakfast” e “Learning To See” che erano stati inseriti nella raccolta “The Best Of Both World” e che sono indicativi di quale strada avrebbe preso la band nel caso fosse rimasto Sammy Hagar a cantare. Si tratta di pezzi durissimi, soprattutto il primo di quelli nominati, in cui i Van Halen parevano aver fatto pace con l’hard rock degli esordi. Poi, come tutti abbiamo avuto modo di apprendere, le cose andarono diversamente con il ritorno di David Lee Roth e la contemporanea cacciata di Hagar e del pacioso Anthony, ma questa, davvero, è un’altra storia che sappiamo tutti come, purtroppo, è terminata.