Quello che probabilmente era nato come un progetto da studio si è col tempo caratterizzato sempre di più, alimentando l’interesse nei confronti del movimento estremo islandese – una scena ricca di formazioni allucinanti tra le quali Kontinuum, Une Misère, GlerAkur, Misþyrming, Fortíð… - ed arricchendo ulteriormente il catalogo di Season Of Mist. Ragnar Sverrisson e Simon Thorolfsson, entrambi negli Ophidian I, hanno saputo tradurre in musica il profondo e primitivo senso di isolamento che si prova quando si varca la porta a scorrimento dell’uscita dell’aeroporto di Keflavík. A cinque anni dall’omonimo esordio, le ambizioni del duo, ispirato dalle manifestazioni più oscure della mente umana, sono addirittura cresciute, sia in termini di produzione che per quanto concerne lo spettro di influenze. In tal senso, le strutture ritmiche, che si rifanno al black più glaciale prendono spunto anche dalla tradizione del death e bilanciano una musicalità sbalorditiva con improvvisi squarci sperimentali e rallentamenti ad arte, che preludono ad una vertiginosa discesa negli abissi. Tra ululati, grugniti, parti soliste di chitarra e batteria da brividi, questo secondo full lenght, mixato in maniera egregia da Mark Lewis, si pone trasversale al novanta per cento di ciò che viene immesso sul mercato al giorno d’oggi, mantenendo uno spiccato profilo underground a dispetto di un livello tecnico fuori dall’ordinario. Una ferocia introspettiva che dilania dentro e si esprime al massimo attraverso pezzi disumani come ‘Fláráð Fræði’ e ‘Traðkandi Blómin í Eigin Hjartagarði’.