L’avventura post-Eskimo Callboy, fermi a ‘Tekkno’ di due anni fa, di Sebastian “Sushi” Biesler non è partita nel migliore dei modi, considerato quanto la pandemia ha penalizzato l’uscita del debutto, ma dal vivo la band sta letteralmente volando. Un’energia ed una scelleratezza che ritroviamo in una produzione gigantesca, improntata sui breakdown, come tutti i dischi metalcore, ma costruita anche su dinamiche elettroniche e cinematografiche di rilievo. Tra ammiccamenti alla trap (‘Valerie’ e ‘Helena Drive’), retaggi gothic e liriche più accessibili e radiofoniche (‘Heavy Rain’), Ghøstkid sa esaltare sia la componente più esuberante che quella old school, dimostrando di possedere qualcosa in più rispetto a tanti colleghi che invece fanno riferimento solo ad una fascia di pubblico ben precisa e drammaticamente giovane. Con ‘Hollywood Suicide’ segna progressi importanti e risulta sicuramente meno appariscente di prima nelle sezioni recensioni o interviste delle più famose riviste heavy metal del mondo. Prima forse stonava. Adesso, anche grazie ad un batterista prima maniera come Steve Joakim, teme pochi confronti e si candida a disturbatore seriale nei festival estivi. Un singolo azzeccato potrebbe lanciarlo oltreoceano. Guardate cosa è successo con Yungblud o di riflesso il successo che stanno ottenendo i Bad Omens. Pezzi come ‘S3X’, ‘Ugly’ e ancora ‘Murder’ sembrano scritti appositamente per fare breccia in quella tipologia di ascoltatori ed i prossimi mesi saranno fondamentali per capire se Century Media - che ne parla come “un'istantanea perfetta di un artista che ha saputo ritrovare se stesso, strisciando fuori dalle sue macerie personali contro un ambiente californiano fatiscente e mitico” - ha fatto bene ad investire così tanto sul progetto.