Facciamo un gioco di immagini. Pensate di trovarvi dinnanzi al mare in un qualsiasi giorno di novembre nel primo pomeriggio con il cielo pieno di nuvole. Vi verrà sicuramente in mente quel tipo di malinconia che solo un paesaggio del genere può determinare agli occhi di chi se lo trova dinnanzi. Ora facciamo questa trasposizione in campo musicale. Se avete capito il giochino vi renderete conto che il nuovo disco di Marty Friedman, ad avviso di chi scrive il miglior chitarrista mai avuto dai Megadeth nel corso della loro infinita storia, ha questa caratteristica, ovvero suscita malinconia a grappoli. Nel caso di specie non ci troviamo dinnanzi al classico lavoro del solito “guitar hero” che corre a trecento kilometri orari, percorrendo scale di ogni tipo per dimostrare la propria abilità con la sei corde. In questo caso, invece, pur avendo un prodotto in cui la chitarra fa il suo con classe e purezza di intenti, le canzoni hanno un senso totalmente diverso, ovvero cercano di trasmetterci qualcosa di intenso e drammatico, come mai era capitato in passato con l’ex socio di Dave Mustaine. In tutto questo mondo pieno di sopraffino grigiore, spunta anche una traccia cantata, al secolo “Dead Of Winter”, che ci riporta al Bon Jovi degli anni novanta, visto che si tratta di una classica ballata che non avrebbe avuto problemi ad andare dritta in classifica in quel particolare periodo. Per il resto, registriamo un mondo di note, pregno di dolcezza, mestizia e sofferenza. Friedman, con la sua proposta intelligente, si dimostra, ancora una volta, un musicista di una qualità sopraffina che, probabilmente, ha raccolto molto meno rispetto a quanto meritasse all’interno di una carriera che, comunque, è stata splendida e che molti suoi colleghi si sognerebbero di avere.