Sono serviti tre anni agli israeliani per dare alle stampe l'ideale prosecutore del meraviglioso ?The Never Ending Way Of ORWarriOR?. Non parlo solamente di una diretta evoluzione per quanto concerne suoni e songwriting quanto proprio di un flusso di coscienza che si è venuto a concretizzare tra le ultime tracce dell'album precedente e quelle di 'All Is One'. Subito si avverte un approccio compositivo più rilassato e parti vocali pulite che incensano le qualità di Kobi Farhi e permettono di godere appieno del clamoroso spettro di influenze della band. Essere riusciti a mantenere pulizia sonora e mixaggio a livelli altissimi dopo l'esperienza con Steven Wilson è un altro merito che va riconosciuto agli Orphaned Land che non avevano mai proposto pezzi accessibili come 'Simple Man' e 'Let The Truce Be Known'. L'assenza di Shomit Levi si fa sentire ma cori ed arrangiamenti orchestrali sono da brividi e l'epicità orientale di 'Brother' ? che narra il drammatico conflitto tra Isacco e Ismaele - e ' Through Fire And Water' è straordinaria. A tratti l'influenza dei Paradise Lost è palese. In altri passaggi emerge anche quella dei System Of A Down con i quali è condivisa un'attenzione importante a quello che avviene umanamente in territorio turco. 'Fail' e 'Our Own Messiah' rappresentano un ritorno alla potenza di 'Mabool', il contributo di Jens Bogren è illuminante e la chiusura affidata a 'Children' sottolinea ancora una volta lo spessore di questo gruppo ingiustamente sottovalutato ma senza dubbio esponente di prima fila di un'avanguardia contemporanea dal quale è impossibile prescindere.