Basta dare un’occhiata alla copertina, un Bush crocifisso a mezzo busto e con la restante metà del corpo immersa in un barile di petrolio, per farsi un’idea dell’attacco che un redivivo Al Jourgensen sta sferrando contro il potere capitalista e repubblicano. Rimango del parere che i binari attraversati con ‘Psalm 69’ (che ha letteralmente cambiato l’approccio di un’intera generazione alla musica industrial) ed il tanto bistrattato ‘Filth Pig’ (che nonostante le critiche nascondeva tra i suoi cardini il più alto livello di perversione mai adottato da un Jourgensen dipendente dall’eroina) non saranno mai più superati. Risolti in parte i problemi di dipendenza e guardandosi dentro (e non tanto al proprio passato) il leader dei Ministry è riuscito in questi anni a mantenere accettabile il livello delle loro uscite. La separazione dal collaboratore di sempre Paul Barker aveva come minimo lasciato trasalire qualche dubbio sull’effettiva necessità di andare ancora avanti. Chiamati a sé Tommy Victor (Prong), Paul Raven (Killing Joke, Godflesh), John Bechdel (Ascension Of The Watchers) e Joey Jordison (Slipknot) Jourgensen è stato invece capace di creare un album ricco di soprese e privo di cadute di tono che facendo leva su pezzi enormi come la title track, ‘Lieslieslies’ e ‘Ass Clown’ (with Jello Biafra) si trasforma in pochi ascolti in un monolite trascinante e malato come ai bei tempi.