Sono tornati. Ci hanno fatto attendere a lungo come compete ai grandi personaggi ma sono tornati. E lo hanno fatto con un album che presenta dei pezzi più vicini a ‘King For A Day..’ invece che al precedente ‘Album Of The Year’, release alquanto controversa, meno interessante e coesa rispetto ai capolavori del passato e che soprattutto portò la band allo scioglimento. Nel frattempo è cambiato un po’ tutto e l’ideale di crossover difeso dai Faith No More è quasi del tutto scomparso dalla circolazione. Stiamo parlando di un band che ha letteralmente – scusate ma andrebbe scritto a caratteri cubitali e non sarebbe mai abbastanza - scritto la storia dell’alternative metal e che ha saputo riabbracciare i propri fans con un lavoro in studio che non appare né presuntuoso né stupidamente nostalgico. Non un masterpiece come qualcuno si sarebbe aspettato, ed in questo senso l’assenza di Jim Martin è stata più difficile da assorbire rispetto alla seconda metà degli anni novanta. Forse a mancare è soprattutto un singolo in grado di fare la differenza e riportare la voce di Mike Patton sulle radio e le emittenti televisive. ‘Sol Invictus’ è comunque solido, prodotto secondo le regole moderne senza inficiare in alcun modo il grado di sperimentazione – ‘Cone Of Shame’ per esempio ricorda i Mr. Bungle – di questi musicisti straordinari. Roddy Bottum e Mike Bordin sono in forma strepitosa ed è anche grazie a loro se la superiorità della band non viene intaccata. Sicuramente non siamo al cospetto di nessuna svolta stilistica con ‘Superhero’, ‘Separation Anxiety’ – pensatela come volete ma le linee di basso di Billy Gould sembrano un tributo allo scomparso Chi Cheng - e ‘Motherfucker’ che sfruttano a dovere le doti del frontman. A metà dell’album troviamo due pezzi di puro alternative rock quali ‘Rise Of The Fall’ e ‘Black Friday’ mentre la conclusiva ‘From The Dead’ è la dimostrazione che i Faith No More sono ancora in grado di regalarci momenti melodici di notevole spessore.