Gli inglesi mi ricordano tanto i Liars. Provocatori, eccessivi, debitori nei confronti della new wave e di certa psichedelia. Il loro secondo album marca sicuramente un'evoluzione importante ed è stato registrato tra Londra e New York sotto la supervisione di Liam Trashmouth. I fratelli Lias e Nathan Saudi e Saul Adamczewski amano trattare argomenti come pedofilia e stupri, violenza su più livelli, regimi dittatoriali e assassini seriali ma soprattutto se ne sbattono del revival post punk citando i padri a modo loro e senza alcuna regola. La scaletta viene inaugurata dal clamoroso singolo 'Whitest Boy On The Beach', nel quale le stratificazioni di synth e drum beat rendono l'atmosfera plumbea e tetra, e da 'Satisfied', pezzo prodotto insieme a Sean Lennon. Già basterebbe per discutere per ore di questa band che non ama i mezzi termini e si prende gioco della censura. Segue 'Love Is The Crack' e non ce n'è più per nessuno con la voce che cresce epica e la materia strumentale che diventa di canzone in canzone sempre più offuscata e garage. Le progressioni acide di 'Tinfoil Deathstar' contrastano con la smaliziata 'Hits Hits Hits' ed un illegittimo singolo brit rock come 'Lebensraum' che si insinua subdolo nella mente dell'ascoltatore per non lasciarla più. La copertina che cita '20 Jazz Funk Greats' dei Throbbing Gristle e Dottor Shipman, Primo Levi, il Duce e Joseph Goebbels sono alcuni dei personaggi che ruotano attorno a testi. Cinici e perversi. Per chi non ama il “politicamente corretto”, l'ipocrisia e la musica stantia.