Amo la band di origine filippina fin da quando ho ricevuto la musicassetta di 'The Ultra-Violence'. Era stata copiata non so quante volte ed alcuni pezzi del nastro erano rovinati eppure quell'album riuscì ugualmente a sconvolgermi. I compagni impazzivano per i Metallica, i più estremi tentavano di convincermi che nessuno era tecnicamente migliore degli Slayer eppure io ascoltavo per ore Megadeth, Suicidal Tendencies e Death Angel appena ne avevo l'occasione. Poi sono cresciuto, un terribile incidente ha complicato la loro carriera ed i dischi dei The Organization sono stati incensati dalla critica specializzata ma hanno venduto poco o nulla. Ho amato i Death Angel anche dopo, quando si sono riformati e si sono misurati col modern metal e le nuove tendenze. L'unica critica ricevuta in questi ultimi anni, al cospetto di album di grande sostanza e prodotti ottimamente, è stata proprio quella di essersi allontanati troppo dai valori del thrash anni ottanta. Ecco allora che il successore di ‘The Dream Calls For Blood’, in assoluto la loro fatica in studio più “core”, segna un profondo ritorno alle origini pur potendo vantare ancora i suoni distintivi di Jason Suecof. Rob Cavestany cita le sue influenze punk in 'Cause For Alarm' ed impreziosisce 'Hell To Pay' con un assolo da brividi. D’altra parte se i californiani occupano tuttora un posto importante nello scenario metal internazionale è anche grazie a come Mark Osegueda ha saputo evolvere il suo cantato e trovano così spiegazione passaggi come ‘Lost’, forse l’apice assoluto da quando è stato interrotto il silenzio seguito alla pubblicazione di ‘Act III’, e ‘Father Of Lies’ che proseguono nella direzione intrapresa a partire da ‘Relentless Retribution’. Dispiace non avere più Andy Galeon dietro le pelli ma Will Carroll è una macchina e ‘Hatred United/United Hate’ è sostenuta dal suo drummin’ incisivo e tecnico.