Thom Edward e Ash Weaver dimostrano di essere pronti a qualche compromesso pur di raggiungere la celebrità e sulla scia dell’entusiasmo derivato da un ottimo esordio e dal tour che ne è conseguito immettono sul mercato altre tredici tracce meno brutali e più melodiche ma sempre piuttosto energiche. Insieme a Slaves e Royal Blood il duo originario di Wolverhampton ha saputo costruirsi un interessante seguito all’interno della scena indie rock britannica, impoverita dall'assenza di idee ed incapace da tempo di fornire alternative alle icone internazionali, e il background di influenze che sorregge il successore di ‘Vultures’ è sicuramente vario e meno scontato di quanto si potrebbe pensare. Al fianco dei prevedibili retaggi di Black Sabbath e Nirvana troviamo infatti richiami al pop d’alta classifica e stacchi elettronici che contrastano apertamente con l’attitudine garage mostrata in passato. Ross Orton è stato scelto come produttore per spingere il cantato su un livello superiore e, tra fantasmi, finte prigioni e violenza controllata, i God Damn sembrano potere ingigantire ulteriormente le proprie ambizioni. Per lo meno finché il format chitarra-voce e batteria continuerà a fare proseliti tra le fasce più giovani.