Il passaggio ad un'etichetta più importante avrebbe potuto spingere i milanesi a rendere maggiormente diretta e commerciale la propria proposta ed invece il successore di 'Are You Kidding Me?' è forse il lavoro in studio più complicato e difficile da digerire di tutta la loro carriera. 'A Means To No End' si rivela un album sostanzialmente diviso a metà con una parte iniziale aggressiva che prosegue il discorso interrotto due anni prima ed un'altra parte che presenta l'evoluzione del suono dei Destrage con tutte le sue peculiarità. Le registrazioni si sono svolte sotto la supervisione di Larsen Premoli allorché il mixaggio è stato effettuato da Steve Evetts che è stato invitato ad accentuare ulteriormente spigoli e difformità. Si percepisce sempre l'influenza dei System Of A Down, così come non è strano associare alcuni stacchi ritmici e melodici a quanto prodotto di recente da Protest The Hero e Every Time I Die ma la materia trattata è di una personalità disarmante. Senza nulla togliere a basso e batteria, i progressi più consistenti sono riscontrabili nel guitar work, davvero spaziale e più vario rispetto al passato, e nel cantato. Paolo Colavolpe dimostra infatti di non temere paragoni con frontman di fama internazionale ed è spesso grazie a lui se riusciamo a districarci nei meandri di un suono selvaggio e impenetrabile. Al fianco delle devastanti 'Don't Stare At The Edge' e 'The Flight' spiccano il singolo 'Symphony Of The Ego' e l'incedere malato di ' Not Everything Is Said'. 'Peacefull Lost' è un omaggio ai Tool ed a tutto quello che hanno rappresentato per almeno due generazioni di band mentre la conclusiva 'Abandon To Random' è il pezzo da sottoporre ai non avvezzi al genere. Schiacciati da un mix schizofranico di thrash, death, prog e math non potranno che fuggire o innamorarsi. Noi ci siamo innamorati.