A sei anni di distanza da ‘Seeing Eye Dog’ torna nei negozi uno dei gruppi che più ha segnato la mia evoluzione musicale negli anni novanta. Non soltanto album come ‘Meantime’ e ‘Betty’ hanno influenzato i miei ascolti successivi e caratterizzato la passione che nutro per la forma artistica più completa ma in quei solchi digitali sono incisi elementi che hanno permesso di comprendere la nascita di trend e l’affermazione di colossi dell’alternative metal e dell’industria discografica in genere. Purtroppo da ‘Size Matters’ in poi il calo di ispirazione dei newyorkesi è stato evidente e raccontare di un Page Hamilton sottotono o comunque non ai livelli abituali è triste. Rispetto ai tre album precedenti ‘Dead To The World’ si rivela nettamente superiore, più coeso e prodotto in maniera avvincente con un paio di episodi trascurabili che si distinguono in negativo in una scaletta solida e capace di attrarre anche fasce più giovani di pubblico. ‘Red Scare’ e ‘Die Alone’ richiamano in maniera esplicita a ‘Aftertaste’, il lavoro che di fatto ha chiuso l’era più importante degli Helmet, mentre ‘Bad News’ e ‘Die Alone’ sono costruite su riff quadrati e aggressivi che non danno certo l’impressione di trovarsi al cospetto di una band appagata. Da verificare se questa ripresa coinciderà con performance dal vivo capaci di evocare leggendarie esibizioni come quella al Dynamo Open Air che è ancora nei miei occhi.