Mi dispiace ma stavolta i tedeschi non sono proprio riusciti a farmi ridere. Sarà l’artwork malinconico a cura di Patrick Strogulski – con alieno sbronzo presente anche su ‘Best Of Bourbon’ - oppure il continuo sottolineare i trentacinque anni di alcolica carriera in fase di promozione. Oppure ancora il fatto che ‘One Foot In The Grave’, titolo quanto mai profetico, contiene forse il materiale più vario mai pubblicato in carriera. Alla resa dei conti delle registrazioni svoltesi ai Gernhart Studios di Troisdorf, solo ‘Pay To Pray’ e ‘Don’t Bullshit Us!’ hanno saputo riportarmi alla mente l’efficacia di ‘A Girl Called Cerveza’. Già col precedente ‘R.I.B.’ il trio guidato da Gerre aveva palesato qualche difficoltà nell’assestarsi sugli stessi livelli ma in questo caso siamo al cospetto di canzoni non del tutto centrate e qualche filler di troppo. Martin Buchwalter (Destruction, Accuser) non si è affatto discostato dalla produzione degli ultimi lavori ma quando le basi sono pezzi mosci come ‘Northern Crown’ e ‘The Evil That Men Display’ o pomposi come ‘Secret Order 1516’ c’è poco da fare. Di sicuro la pausa che la band sembra avere deciso di prendersi servirà per tornare ancora più forte di prima tra qualche anno ma ‘One Foot In The Grave’ non è certo uno dei dischi che consiglierei a chi volesse pogare con del thrash d’annata.