-Core
Obituary
USA
Pubblicato il 13/09/2007 da Roberto Michieletto

Quali obiettivi vi eravate posti prima di registrare ‘Xecutioner’s Return’ e pensate di averli raggiunti, ascoltando il disco a posteriori?
Siamo molto orgogliosi di ciò che abbiamo prodotto. L’album è figlio di un lavoro estremamente intenso sulle canzoni e ci siamo presi tutto il tempo di cui necessitavamo per comporle. Una volta che i pezzi sono stati pronti si è rivelato decisamente facile registrarli. Siamo entusiasti circa lo stile dei brani, il suono e anche il feeling che trasmettono.
‘Xecutioner’s Return’ possiede il classico suono death alla Obituary, ma al suo interno convivono altre due anime distinte. Da un lato ci sono le radici hardcore e dall’altro le influenze sludge. Tracce come ‘Face Your God’, ‘Lasting Presence’ e ‘Steal Your Fate’ sono veloci e HC. Pezzi come ‘Contrast The Dead’, ‘Second Chance’ e ‘In Your Head’ hanno parti lente e suoni impastati e soffocanti. Perché avete deciso di sottolineare tali differenze in maniera così marcata?
Non abbiamo pianificato in anticipo ciò che ci saremmo aspettati dal disco. Ci siamo esclusivamente concentrati sulla scrittura dei brani, brani che amiamo suonare e in cui crediamo ciecamente. Ormai sono trascorsi parecchi anni da quando abbiamo capito, nel corso della nostra carriera, che non è sempre possibile soddisfare tutti quelli che ti ascoltano e non ci riusciresti neanche cercando di farlo volontariamente, perciò ci limitiamo a comporre pezzi che ci appagano e che possano essere accettati e vissuti da quelli che sono i veri fan del gruppo. Lo stile dei brani in questo album varia dal groove veloce o mid-tempo sino a giungere al materiale più lento e orientato allo sludge, come mai ci era capitato prima d’ora. Il che, secondo me, rende il disco molto ascoltabile e vario dall’inizio alla fine. Non potrei essere in alcun modo più felice della varietà che emerge da ‘Xecutioner’s Return’.
Avete prodotto e registrato ‘Xecutioner’s Return’ da soli; quali vantaggi e svantaggi avete riscontrato?
Abbiamo registrato l’album in proprio, avvalendoci solo del supporto di Mark Prator, il nostro ingegnere del suono da lunga data, e abbiamo davvero apprezzato questa modalità di lavoro. Abbiamo acquistato un’attrezzatura completa di pro-tools e convertito la nostra casa in uno studio di registrazione. Io e John ci siamo occupati di ingegnerizzare il tracking dei brani e poi li abbiamo portati a Mark, che ci ha messo sopra le mani nel suo studio (RedRoom Recorders), dove abbiamo svolto tutto il mixing, l’editing e quanto può essere definito “magico” sui pezzi. Dopodiché ci siamo recati presso i Morrisound Studios, dove Jim Morris ha fatto il mastering del disco. È stato un vero e proprio sforzo di gruppo, prodotto da quello che io sono solito chiamare il nostro dream team.
Consideri ‘Xecutioner’s Return’ il figlio della tecnica o del feeling?
Questo disco è tutto ciò che può essere derivato dal sentimento. Abbiamo trascorso ottimi momenti scrivendolo e registrandolo e il poterlo fare nel nostro studio è stato davvero positivo. Un simile processo elimina un sacco di pressione, che diversamente graverebbe sulla band, perché eravamo in grado di prenderci il tempo di cui necessitavamo e potevamo registrare quando lo ritenessimo più opportuno, al mattino, a mezzogiorno o di notte.
Siete ancora una delle migliori groove machine al mondo. ‘Xecutioner’s Return’ è popolato da innumerevoli riff e ritmi carichi di groove; cosa volete convogliare per mezzo di essi?
Siamo sempre stati una band che ha capito che l’heavy metal può essere dannatamente groovy. Non abbiamo mai avuto paura di far emergere queste nostre radici e dal momento che adoriamo le “mid-tempo head nodding killer groove songs” capirai che si tratta di una scelta naturale. E poi penso che questo sia proprio ciò che ci differenzia dalle altre band. Sappiamo di avere uno stile preciso e che i fan si aspettano di vederlo rispettato nel momento in cui acquistano un nostro disco e siamo orgogliosi di poterlo continuare a perpetrare.
Cosa mi dici del lavoro fatto da Ralph Santolla sul disco? Qual è il valore aggiunto che ha portato nella band?
Io e Trevor abbiamo composto l’album e poi Ralph, che è arrivato quando tutto era già stato scritto, ci ha aiutati a renderlo assolutamente assassino per mezzo di alcune parti di chitarra solista tra le più impressionanti che abbia mai avuto modo di sentire. È uno dei chitarristi più incredibili con cui abbia sinora lavorato e siamo estremamente fieri del livello a cui ci ha portati con questo disco.
Il modo in cui John utilizza la sua voce è unico, oltre a essere uno strumento aggiunto, però in alcuni pezzi di ‘Xecutioner’s Return’ risulta più “comprensibile”; qual è la ragione dietro tale scelta?
Nel corso degli anni le parti vocali e i testi di John si sono progressivamente evoluti e anche in questa occasione è stato in grado di raggiungere un ulteriore livello di perfezionamento. Lui, come il resto della band, è migliorato nel fare le cose che sa fare, il che contribuisce a incrementare decisamente le nostre performance e il processo di composizione e dopo tutto questo tempo posso assicurarti che ti fa sentire bene essere ancora capace di “spaccare il culo”.
Da Xecutioner a Obituary e indietro a Xecutioner, considerando un titolo come ‘Xecutioner’s Return’. Perché avete rispolverato il vostro primo nome? Consideri questo lavoro una sorta di nuova vita e un nuovo inizio?
Sì, hai ragione per noi è come un nuovo inizio e il poter essere con una nuova etichetta è proprio ciò di cui necessitavamo. È grande poter contare su una label come la Candlelight, che lavora sodo e che si sforza di promuovere il disco come merita. Il che ha portato, come ovvia scelta, quella di ridare vita al nome di Xecutioner e la qual cosa ci ha molto appassionati. Siamo più felici ora di quanto non lo siamo stati per gran parte della carriera e il futuro è ancora più lucente.
Avete trascorso tutta la passata vita musicale con la Roadrunner; dopo un primo periodo entusiasmante non siete più stati soddisfatti. Guardando al modo in cui la Roadrunner lavorava con voi (e con altre band) era frustrante e vi faceva pensare che, alla fine, il music business è comunque business, senza etica?
In questo contesto non importa quanto la Roadrunner si sia comportata male o abbia fatto schifo o quanto poco si sia curata di noi, qui bisogna capire che noi siamo stati uno dei primi gruppi a “metterli sulla mappa” e nonostante ciò loro hanno deliberatamente deciso di non supportare noi e i nostri ultimi dischi. Il che mi fa dedurre che Monte Conner e quelli dell’ufficio di New York sono semplicemente un branco di scimmie che non hanno mai creduto nei gruppi che li hanno portati dove sono arrivati adesso. Avrebbe potuto comportarsi come se credesse in noi, ma è un idiota dietro una scrivania, capace solo di seguire gli ordini degli altri.
A volte mi trovo a ripensare ai “vecchi giorni”, quando il death metal muoveva i primi passi, e sono ricordi freschi e pieni di vita, mai nostalgici, nonostante siano trascorsi vent’anni…
È incredibile come il tempo vola… Ormai sono 21 anni che stiamo insieme come gruppo e riusciamo ancora a divertirci tantissimo. Siamo degli ottimi amici e sappiamo condividere il tempo delle nostre vite; nuove idee e canzoni vengono create e non vedo l’ora di poter sperimentare cosa ci riserverà il futuro. È la musica che ci rende una grande famiglia e siamo felici di poter essere i “nonni” del movimento, ma dei “nonni” ancora perfettamente in grado di scrivere brani brutali.
Guardando ancora al passato devo dire che adoro quello che rimane il vostro lavoro più sperimentale, ‘World Demise’; avevate dimostrato che il death metal poteva essere se stesso anche esplorando diversi percorsi sonori e costruendo strutture complesse senza perdere potenza, profondità e violenza…
Rimane tuttora uno dei miei dischi preferiti e penso che mai come allora siamo stati capaci di avvicinarci così tanto alla composizione di un capolavoro. Per mezzo di quel disco abbiamo dato la prova che “heavy doesn’t mean only fast”. Era colmo di killer groove e hard style death metal ed è tuttora in grado di elevarsi al di sopra della media.
Personalmente sono stato anche rapito da un disco su cui avete suonato tu e Trevor e mi riferisco a ‘Embedded’ dei Meathook Seed; incredibile! Avevate mescolato suoni elettronici/industriali e metal/hardcore senza essere banalmente crossover.
Ricordo che fu un’esperienza eccezionale registrare l’album con Mitch e Shane dei Napalm Death ed è davvero un disco che spacca. Tuttora ci sono parecchie persone, che mi confessano di amare quel lavoro. È persino difficile da capacitarsi che tutto ciò accadeva 15 anni or sono. Adoro ‘Embedded’.

(parole di Donald Tardy)

Obituary
From USA

Discography
Slowly We Rot (1989)
Cause Of Death (1990)
The End Complete (1992)
World Demise (1994)
Back From The Dead (1997)
Dead (1998)
Frozen In Time (2005)
Frozen Alive (2006)
Xecutioner's Return (2007)
Darkest Day (2009)
Inked In Blood (2014)
Obituary (2017)
Dying Of Everything (2023)