Con la vostra musica cercate più dissenso o approvazione?
Probabilmente non cerchiamo nulla che non sia qualcosa che rimane nascosto dentro le nostre anime e con la musica tentiamo di scoprirlo. Sarà magari retorica ma creiamo per noi stessi perché ci piace andare oltre, nonostante i sacrifici e gli sbattimenti che caratterizzano una band underground come la nostra, la voglia di scrivere nuova musica non è mai doma. Certo, ci piace andare controcorrente, ed in un periodo come questo, musicalmente parlando dove tanti tendono a rallentare i tempi ed usare chitarre super fuzzose, noi abbiamo voluto guardare dalla parte opposta. Creare un disco con canzoni veloci, tempi articolati ed una produzione più pulita possibile. Il nostro dissenso forse nasce da questo seguire le mode anche in ambito musicale, in una scena che guarda più alla forma mettendo in secondo piano la sostanza.
Com’è nata l’idea del titolo e in che modo l’artwork di Marco Castagnetto si lega al contenuto lirico dell’album?
Il titolo dell’album nasce dall’esigenza di andare dalla parte opposta rispetto alla massa di band che oggi stanno inflazionando il mercato underground con proposte tutte uguali o perlomeno simili. Una celebrazione di un genere che è nato più di vent’anni anni fa e che ora sta riprendendo piede. Un rallentare a tutti i costi i tempi, mettere degli effetti sulla chitarra per ottenere un suono fumoso e grasso, fare pezzi di quaranta minuti. Peccato che queste situazioni le abbiamo già ascoltate con gli Sleep in prima battuta e poi di ritorno qualche anno fa nuovamente dagli Stati Uniti. Il nostro dissenso è anche questo. Dissentiamo da tutto ciò che è preconfezionato, costituito da stilemi e regole che impone un mercato che sta comunque agonizzando. Dissentiamo dal modo di pensare ed di agire di oggi. La maggior parte della gente, in tutti gli aspetti della vita quotidiana, si trova a compiere azioni quasi fosse un automa. Quasi fosse completamente privata del proprio cervello. Della propria anima per ragionare e pensare. Viviamo in una situazione storica ed in una societa’ in cui siamo tempestati da informazioni continue, dati, suggerimenti, messaggi molto subliminali, subdoli inviti a spegnere il cervello per imparare a non lottare. Lottare oggi vuol dire cercare di pensare ed avere un’identità propria. Il dissenso oggi è molto importante, significa per noi essere vivi. Marco Castagnetto anche questa volta ha fatto un lavoro superlativo. Non gli abbiamo spiegato cosa volevamo. Lui con noi a carta bianca. O meglio la tela dove crea è bianca. Ha letto i testi. Forse ascoltato qualche versione demo di alcuni pezzi ed è venuto fuori con questa opera d’arte.
È stato complicato procedere dopo ‘La Dittatura Del Rumore’? Vi siete posti degli obiettivi particolari stavolta?
Non è stato complicato. Anzi. Siamo sempre stimolati. Abbiamo sempre idee. Poi magari impieghiamo del tempo per metterle in pratica ma siamo sempre in continua evoluzione compositiva. Dopo “La Dittatura Del Rumore” abbiamo cercato di suonare il più possibile dal vivo ed allo stesso tempo abbiamo composto e fatto uscire un EP per commemorare i nostri quindici anni di esistenza. Ma intanto pensavamo al nuovo album. Non ci siamo posti degli obiettivi ben precisi. Certo, era nostra intenzione fare un disco più veloce e meno psichedelico. Che si avvicinasse alle nostre origini. Non è stata un involuzione. O meglio non la vediamo come un passo indietro a livello artistico. Ma ci piaceva l’idea di prendere la nostra esperienza fino al periodo della dittatura e portarla agli inizi della nostra storia, quando scrivevamo canzoni più estreme e più violente. Soprattutto in ambito ritmico.
Dove si sono svolte le registrazioni? Avete utilizzato della strumentazione particolare per ottenere un suono così potente?
Le registrazioni si sono svolte, come per “00-15: l’avanguardia industriale”presso gli Archensiel Studios di proprietà del nostro chitarrista Paolo. Lavorare in totale autonomia ci ha permesso di dedicare molto tempo al disco. Abbiamo registrato in un contesto molto rilassato senza dover correre e magari compiere dei passaggi forzati. E’ uno studio molto attrezzato con le più recenti tecnologie ma molto versatile con processi di registrazione anche vintage. Abbiamo usato la nostra strumentazione. Quella che di solito usiamo in sala prove , e quando i palchi lo consentono, quella che usiamo durante i concerti. In aggiunta ad altri infernali elettronici. Il mixaggio è stato curato da Paolo e da Carmine nostro fonico che ci segue nei live e che si fa carico di rendere al meglio il nostro rumore dissonante e dissidente. La masterizzazione ad opera di Petrolio. Globalmente siamo molto soddisfatti di cosa abbiamo creato.
In termini di produzione e mixaggio cosa desideravate migliorare rispetto all’album precedente?
Abbiamo cercato di dare una connotazione più asciutta in termini di produzione. Le canzoni di “Dissenso” già quando erano semplici idee suonavamo in un modo differente rispetto alle canzoni de “La dittatura del Rumore”. Sono canzoni più dirette, con un’attitudine più punk ed hardcore. Quindi hanno bisogno di un sound più caustico ed asciutto. Senza snaturare la nostra identità sonora abbiamo lavorato in questa direzione. Non è stato facile far rendere queste canzoni,anche perche’ il lavoro precedente era indirizzato verso luoghi più psichedelici con molto ambiente e parti che si rifacevano a determinate sfaccettature sonore che in “Dissenso” non sono presenti.
Continuo a pensare che gli Infection Code meritino un’esposizione estera che finora è mancata. State cercando di organizzare delle date in Europa e negli Stati Uniti? Nello specifico avete ricevuto un feedback importante da qualche nazione?
Penso che ogni band o musicista guardi all’estero per avere un certo riscontro piuttosto consistente. Questo perché nel nostro paese manca in larga parte una certa cultura musicale che altre nazioni hanno ed anche perché confrontarsi con altre realtà e contesti significa crescere come artista oltre che come persona. Sono scambi culturali che fanno crescere umanamente e ti fanno arricchire al livello professionale e musicale. Negli anni passati abbiamo cercato di uscire, ma per uscire e confrontarsi all’estero servono penso una preparazione che probabilmente noi non abbiamo. E poi serve un ingente sforzo economico. Da sempre non possiamo permetterci lunghe pause dal lavoro e non possiamo non permetterci di lavorare. Questo vuol dire che non possiamo programmare lunghi tour lontani da casa. Il futuro per noi non è molto diverso dal passato. Cercheremo di organizzare qualche data ma non sicuramente con dei tour nè tantomeno all’estero. Anche perché riscontri importanti non ne abbiamo avuti che ci possano far pensare d’intraprendere progetti simili.
Prova adesso a recensire ‘Costretti A Sanguinare’ e ‘In Assoluto Silenzio’ per i nostri lettori..
“Costretti A Sanguinare” è un gigantesco mostro che fuoriesce dal centro della terra. Mastodontico Golem che schiaccia ed opprime. Distrugge e mette a ferro e fuoco tutto ciò che incontra. Un’entità che giunge da un altro spazio. Uno spazio dove si nascondono ciechi i nostri rimorsi. Un’entità che si nutre delle nostre ipocrisie e stupide azioni. “In assoluto silenzio” è il suono degli anni settanta. Degli anni di piombo. Degli scioperi. Degli scontri di piazza. Del grande gelo. Della lotta di classe visti da un operaio che lottava per un mondo dove il più debole non sarebbe stato mai più sopraffatto e sfruttato dal più forte. Lottava e soffriva . In assoluto silenzio.
Perché avete scelto ‘Santa Mattanza’ come singolo?
Sostanzialmente per un discorso d’impatto sonoro e per dare un segnale a chi ancora ci sopporta, che il nuovo disco sarebbe stato leggermente più estremo e violento.
Come recita la recensione.. il “silenzio” degli Infection Code è un rumore assordante.. Cosa provate alla fine di un concerto quando il volume progressivamente cala e vengono staccati gli strumenti?
Molta stanchezza ed un senso di vuoto. Fisico e mentale. Almeno posso parlarti personalmente. Non facciamo molti concerti però quando siamo sul palco diamo sfogo a tutta la negatività che abbiamo dentro. A volte mi sembra quasi sia una seduta di psicanalisi. Dove il medico è il rumore. Noi i pazienti. Ed il pubblico assiste a questa seduta. Che poi ci sia oppure no a noi poco importa. L’importante è questo flusso che si crea tra noi ed il rumore che generiamo. Per mezz’ora o quello che è siamo isolati. Potremmo esibirci su un palco ma anche in qualsiasi altro luogo.
Ascoltando ‘Sterile’ e ‘Intimacy’ si sente quanto il tuo cantato, e in parallelo l’approccio lirico, si sia evoluto. Ti senti più cantante oggi? Ci sono dei frontman che ti hanno influenzato più di altri?
Erano altri modi di salmodiare. All’epoca di “Sterile” ed “Intimacy” usavo parecchio growl e cercavo di mascherare i miei limiti con l’uso di questo tipo di cantato. Poi, un po’ per curiosità nel voler esprimermi in altro modo, un po’ perché le nuove canzoni richiedevano un altro approccio interpretativo, ho provato ad usare lo scream ed una specie di voce pulita. Non è stato facile far uscire la voce. Sono tecniche d’impostazione diverse. Ma che mi piacciono entrambe. Anzi a dire la verità il growl un poco mi manca e mi piacerebbe in futuro tornare a utilizzarlo. Non mi sento un cantante ne ieri e neppure oggi. I cantanti sono altri. Sono uno che urla dietro ad un microfono delle cose che sente dentro e cerca di tirarle fuori. Quale miglior mezzo se non urlare. L’ unico cantante a cui avrei voluto assomigliare è Fish storico cantante dei primi quattro album dei Marillion. Che non c’entra nulla con quello che faccio. Se fossi stato un cantante avrei voluto assomigliare a lui.
Quali sono i dischi italiani più interessanti che hai ascoltato nell’ultimo periodo?
Il disco che più mi ha impressionato nell’ultimo periodo e “Qaal Babalon” dei Nibiru nostri compagni d’etichetta . Il miglior album della loro carriera.
(parole di Gabriele Oltracqua)