Settlefish
Italia
Pubblicato il 24/03/2006 da
Dropday Scegli una canzone dei Settlefish a cui sei particolarmente legato e raccontaci come è nata, le sensazioni che ti provoca, qualche aneddoto: in modo da farci capire un po’ meglio cosa si cela dietro la cortina sonora.
Jonathan: Scelgo ‘The Barnacle Beach’, pezzo che amo particolarmente dell’ultimo disco poichè è uno di quelli completamente nati improvvisando in sala prove, tutti assieme, e paradossalmente è anche uno dei brani che ti rimangono più facilmente in testa dell’album. Non so come siamo riusciti ad incastrare tutto però è successo ed amo il risultato. Il testo poi mi ricorda la mia infanzia e quel momento dove tutto è più semplice e non c’è bisogno di parole per spiegarsi.
Emilio: Allora io rilancio con ‘It Was Bliss’, perchè da un po" di tempo è la canzone con la quale apriamo i concerti e mi da una certa carica. Se aggiungi poi che nel bridge centrale mi occupo degli handclaps, una cosa veramente à la page al giorno d"oggi, diventa senz"altro il pezzo che mi eccita di più.
Qual è stato il vostro momento più difficile come band, semmai ce n’è stato uno? Come l’avete superato?
Jonathan: Personalmente uno dei momenti più difficili capita ogni volta che ci si ritrova in sala prove dopo mesi che si è suonato in giro e bisogna iniziare a scrivere cose nuove. Inizialmente sembra sempre ci sia come un vuoto, poi tutto passa, si ritrova quello spirito frenetico che ti porta a scrivere tantissimo. Come gruppo abbiamo avuto un momento difficile quando abbiamo cambiato batterista quest’estate. Non sapevamo bene come affrontare il futuro. Non è mai semplice cambiare qualcuno con cui hai suonato per anni. In realtà le paure sono poi volate via al primo concerto con Federico (batterista nuovo). Ci ha portato un entusiasmo, quasi una voglia doppia di fare e strafare.
Emilio: Sì, ci sono quelle prime tre prove quando ci si mette seriamente a scrivere, che sono un po" ostiche. Bisogna riabituarsi al suono della sala, incominciare a vagliare le varie proposte, tentare di far confluire i gusti di ognuno. Ma dura poco, poi rientra il piacere di trovarsi alle prove, come quando si aveva 16 anni, fare dischi era un obiettivo lontano, in Italia impazzavano i rave parties e gli unici concerti che si facevano erano le feste studentesche al Covo. Bei tempi.
Avete ricevuto critiche entusiaste fin dall’esordio, ma spesso le critiche positive possono avere effetti negativi nell’alchimia del gruppo. Invece ‘The Plural Of The Choir’ dimostra una maturazione invidiabile, dovuta anche al grande affiatamento che si è venuto a creare tra voi. Quale è stato, tra i tanti, il fattore che ha contribuito maggiormente a cementarvi?
Jonathan: Suonare dal vivo. Siamo un gruppo abituato a stare tanti giorni via assieme e ormai conosciamo bene i nostri gusti e limiti. Poi sai siamo anche molto amici fuori dal gruppo, cioè magari non usciamo sempre le sere fuori assieme ma c’è qualcosa che ci lega da tanti anni. Alcuni di noi hanno persino fatto il liceo assieme...
Emilio: Stare tre mesi in giro sempre con le stesse persone è una cosa che ti unisce volente o nolente, infatti chi non è riuscito a stare al passo con questo se n"è andato dal gruppo. Bisogna essere elastici e malleabili, tentare di adattarsi agli altri il più possibile. Questo si riflette anche nella musica, si capiscono quali sfumature usare e quali no, quali riff autocensurarsi e quali no, piano piano si diventa una cosa sola.
Quali interessi avete al di fuori della musica? Ad esempio, quali sono i vostri gusti cinematografici, letterari, artistici? In che modo si riflettono sulla vostra musica e sui vostri testi?
Jonathan: Trovo sempre difficile rispondere a questa domanda in realtà semplice. Tutti e cinque siamo onnivori, chi più appassionato di letteratura chi di cinema. Non credo ci sia comunque mai una diretta connessione con la nostra musica. Per il primo disco posso dire nel mio caso che i testi in alcuni brani erano influenzati dalla lettura di Don DeLillo e dalla visione di alcuni film d’animazione noti come ‘Ghost In The Shell’. Spesso sono più influenzato dalla musica che da altri ambienti artistici. Mi fermo qui perchè sarebbe difficile fare una lista di film o libri..
Emilio: Se la musica fosse commestibile mangerei solo quella. Devo dire di essere abbastanza monomaniaco. Mi piace anche uscire la sera con gli amici per fare quattro chiacchere di fronte a una birra fresca, leggere, (ultimamente saggistica soprattutto, mi sto appassionando molto alla corrente microstorica francese, insomma leggo molto LeGoff..), mi piacciono anche le ragazze! Anche se spesso la cosa non è ricambiata... Ah, sono andato a vedere V For Vendetta, ero pieno di pregiudizi perchè normalmente i film tratti dai fumetti di Alan Moore fanno schifo e invece mi sono quasi commosso, consigliatisimo
Ultimamente avete aperto due concerti per gli Afterhours. La parabola di Manuel Agnelli e compagni è abbastanza esemplare: gli esordi in inglese, l’interesse della critica americana, il passaggio all’italiano ed il successo in Italia. Adesso, la traduzione dell’ultimo album in inglese, ‘Ballads For Little Hyenas’, per riprovare a proporsi all’estero. Cosa ne pensate? Per avere successo all’estero nella scena alternativa è davvero così necessario cantare in inglese?
Jonathan: Sinceramente non capisco molta la polemica sugli Afterhours in inglese. Cioè mi sembra una cosa molto naturale, una loro soddisfazione personale, perchè non provare a cimentarsi nell’inglese per poi poter andare all’estero. Cosa c’è di sbagliato? Cosa c’è di strano? Hanno avuto questa possibilità e l’hanno colta al volo.
Emilio: Beh l"italiano è foneticamente davvero distante dalle lingue sassoni e quindi per uno che ascolta rock in Inghilterra credo sia straniante da sentire. Mi sembra stupido quando sento dire che se i Sigur Ros cantano in una lingua inventata allora non si vede il perchè non si riescano ad esportare dischi cantati nel nostro idioma. La lingua inventata degli islandesi ha tutte le caratteristiche fonetiche di una lingua anglosassone e a primo impatto, anche se i testi non si capiscono, risulta molto più ‘familiare’ all’inglese. In ogni caso gli Afterhours hanno fatto benissimo secondo me soprattutto perchè all"estero ritroveranno una dimensione live che qua in Italia ormai hanno abbandonato da dieci anni. Mi permetto di aggiungere che sono stati davvero gentili con noi, persone appassionate di musica, zero atteggiamente da stars. Ho conosciuto molte più teste di cazzo nel giro hardcore.
Ho sentito un ragazzo, di gusti musicale quasi esclusivamente inglesi, dire dopo avervi ascoltato ad un vostro recente set acustico a Bologna: ‘Alla fine non bisogna andare molto lontano per trovare gente che sa suonare davvero…’ Voi, d’altra parte, avete dichiarato che vi trovate meglio a suonare in Inghilterra per la differente passione che sentite nel pubblico durante i live. Non è abbastanza paradossale? Cosa impedisce un rapporto più diretto tra band indipendenti e pubblico in Italia?
Jonathan: Secondo me le cose sono migliorate nell’ultimo paio di anni in Italia. Mai come ora per quanto mi riguarda ci sono band italiane valide che girano. In più mi sembra che finalmente abbiano capito che il “suonare” tanto in giro sia una risorsa. Sono stufo di band validissime che però fanno 1 o 2 date all’anno. Bisogna continuare ad abituare il pubblico ai concerti, al fatto di vedere una band non solo nei weekend ma anche durante la settimana e magari non ad orari proibitivi.
Emilio: Secondo me, molta gente che è convinta di ascoltare musica indie qua in Italia, in realtà ascolta solo un sacco di musica del cazzo. Mi asterrò ovviamente dal fare i nomi, ma c"è così tanta superficialità.. Si ascolta un gruppo A che è chiaramente e unanimamente ispirato a un gruppo B, ma qua non si va mai un passo indietro. Tutti sanno chi sono i Kaiser Chiefs, ma pochi sanno chi sono i Gang Of Four.
Cosa non cambiereste mai di Bologna e cosa invece vorreste cambiare? Jonathan: La facilità con cui si incotrano per strada gli amici, la possibilità in dieci minuti a piedi di essere da qualsiasi parte ed il fatto di essere geograficamente in un punto strategico per andare a suonare in giro.
Emilio: Non me ne andrei mai da qui. Bologna non è ne grande ne piccola, piena di giovani, è un ambiente stimolante. Certo, determinate sottoculture giovanili, basate esclusivamente sul fintomaledettismo/fintobarbonismo e un consumo esagerato di droghe, almeno a me personalmente, fanno schifo. Anzi non capisco perchè vengano chiamati’ punkabbestia’, che cazzo ha di punk "sta gente? D"altro canto l"estate scorsa l"attuale giunta di sinistra ha sinceramente dimostrato di essere miope a molti di questi problemi, credendo sostanzialmente di risolverli con una repressione generalizzata.. Nonostante queste contraddizioni amo molto la città, soprattutto in primavera, quando i colli sono in fiore e le maniche delle camice arrotolate.
Sul sito di Unhip Records viene annunciata l’uscita di un vostro EP. Qualche anticipazione?
Jonathan: L’EP che stiamo finendo di registrare presenta materiale del disco ‘The Plural..’ riarrangiato completamente. Sono canzoni sventrate e stravolte, alcune in chiave acustica, altre in versione ‘free’, ovvero più libere, aperte all’improvvisazione con un tocco di psichedelia. Infine abbiamo accentuato la componente ritmica di un paio di pezzi, alcuni hanno beat elettronici. Insomma tutto abbastanza diverso, escondo di più le voci, la melodia direi.
Emilio: Dobbiamo solo mixarlo sostanzialmente, vedrete che vi piacerà!
Che direzione sonora avra’ il nuovo materiale ?
Jonathan: Il materiale invece per il disco nuovo invece è completamente diverso (rispetto chiaramente all’EP). Mi sento di dire che sarà un disco più fisico, sicuramente per via del cambio di batterista. Per il resto ancora non saprei. I pezzi nuovi che abbiano sono tutti molto diversi..alcuni complicati, altri più diretti. In generale più rock.
Emilio: ora che possiamo contare su un batterista solido ci si sono aperte molte strade che prima potevamo solo immaginarci. Per ora proponiamo un paio di pezzi dal vivo e siamo contenti per come risponde la gente, sicuramente sono molto più "duri" del materiale passato, ma al contempo molto melodici e stratificati, cosa che, direi, ci contraddistingue.
Che significato ha per voi il termine post rock ? Vi identificate in esso ?
Jonathan: hehe, quando sento la parola post-rock penso ai miei 16-17 anni. Il periodo di passaggio da cose più mainstream a cose più underground. Conducevo insieme a Paul dei Settlefish un programma radio e vivevamo quel gran periodo di band come June Of 44, Tortoise, Gastr Del Sol, Storm & Stress, Trans Am, Us Maple, il giro Skin Graft, l’elettronica della Mego e della Touch. Riscopire i dischi dei Rodan, Rome, Bastro...Tutto sembrava confluire sotto lo stesso tetto. Quando sento ora il termine post-rock non so mai a cosa pensare..mi vengono in mente noiose band strumentali epiche..benchè ce ne siano ancora di validissime in giro. Quindi per quanto riguarda noi non saprei..sicuramente all’interno della nostra musica mi piace pensare ci sia una componente di queste influenze citate prima.
Che ricordo hai dell’esperienza con Brian Deck ?
Jonathan: Super, un sogno diventato realtà. Una persona splendida che ha lavorato in maniera esemplare, riuscendo a stupirci in mille occasioni. Pieno di idee, capace di capire al volo il nostro intento, il suono che volevamo ecc.
Settlefish
From Italia
Discography
Dance A While, Upset (2003)
The Plural Of The Choir (2005)
Oh Dear! (2008)