È una mia impressione o state diventando sempre più dark di album in album?
In verità non pianifichiamo troppo queste cose. Quando creiamo un album non scegliamo di realizzarlo in un modo o nell’altro ma ci facciamo trascinare dal lato emozionale. Al momento di dedicarmi alla composizione, parto sempre dalle liriche e, anche se non sono ancora del tutto completate, ho già chiaro in testa di cosa parlerà l’album. Di sicuro le liriche di ‘Ategnatos’ sono molto profonde e oscure.
Che rapporto avete stretto con Nuclear Blast?
All’inizio pensavamo di essere una delle tante band nel loro catalogo ma dopo pochi mesi avevamo già cambiato idea. Le comunicazioni sono continue e la loro fiducia nei nostri confronti è totale. Il loro supporto non è soltanto finanziario e questo ci motiva a fare sempre meglio.
Sto guardando il video della title track proprio adesso e lo trovo veramente evocativo. Sei affascinato da territori come Scandinavia, Islanda o Groenlandia?
Amo quei luoghi. Dal punto di vista paesaggistico mi lasciano senza parole, sono fantastici e mi ispirano senza dubbio. Non hanno comunque relazione con quello che scrivo. Sono molto più legato alla musica tradizionale svizzera o tedesca ed alla cultura celtica.
Il vostro stile è ormai consolidato nel tempo ma in fase di presentazione l’etichetta ha parlato di un album basato su testi molto diversi rispetto al passato..
In passato abbiamo tratto molta ispirazione dalla mitologia dei celti ma stavolta non abbiamo raccontato storie prese dai libri e riportare sul piano scientifico-storico ma ci siamo rifatti ad allegorie e parabole, mantenendo la correttezza storica però rapportandole ai giorni nostri. Uno sforzo difficile ma che si era reso necessario perché a forza di interpretare quel tipo di storie ho cominciato ad intrecciare passato e presente. Un’esperienza intensa, quasi spirituale, alla quale devo molto come persona.
I tuoi ascolti non influenzano il songwriting?
Di riflesso sì ma non in maniera diretta. Amo il folk tradizionale, lo swedish death ed il black metal e più o meno sono tutti elementi che puoi trovare nella nostra musica. Il concept che sta dietro agli Eluveitie è però molto complesso e con il passare del tempo è diventato ancora più intricato.
Di cosa parla ‘The Raven Hill’?
Preciso che ogni pezzo in scaletta ha un significato preciso per l’album. Nello specifico si tratta di una canzone arcaica, un vecchio mito che è rimbalzato a lungo nella mia testa. Il tema principale è quello della rinascita, non nel senso induistico di una reincarnazione, ma nella metafora della continua trasformazione delle nostre esperienze.
Che ruolo hanno svolto Fabienne Erni e Matteo Sisti?
Il ruolo è abbastanza chiaro perché la prima canta e suona l’arpa mentre il secondo è con noi da più tempo e suona la cornamusa, il mandolino e il bodhrán. Il contributo dei vari membri è molto importante ed il nuovo materiale è molto difficile da suonare dal vivo. Tecnicamente è complesso, gli arrangiamenti sono ambiziosi e le performance di Jonas e Alain in studio di registrazione mi hanno davvero colpito.
Come intendete promuovere ‘Ategnatos’?
In pratica saremo in tour tutto l’anno. Tre volte in Europa, in Nord America, in Sud America e pure in Asia.
Quali sono i vostri mercati maggiori?
Al momento, se escludiamo il vecchio continente, il Nord America ed il Sud America sono i continenti in cui otteniamo maggiori consensi ma è difficile da stabilire perché i dati cambiano in maniera rapida.
In questo periodo di crisi dell’industria discografica, il tour è diventato l’unico modo di sopravvivere per tante band.
Il significato e l’importanza dei tour non sono più quelle di vent’anni fa. Prima le band più importanti sopravvivevano grazie alla vendita degli album ed al denaro che proveniva dalle case discografiche. Adesso è tutto diverso ed il tour non è più solo un modo di promuovere i lavori in studio. Per noi è comunque un processo molto naturale perché gli Eluveitie sono nati per suonare dal vivo e, anche se mettiamo molta cura in fase di songwriting e produzione, il fine ultimo è viaggiare e trasmettere emozioni a chi ci segue.
Come è nata la collaborazione con Randy Blythe dei Lamb Of God?
‘Worship’ è un pezzo molto cinematico e apocalittico, per la voce narrativa abbiamo pensato all’attore scozzese Alexander Morton ma per il chorus c’era bisogno di un approccio più moderno e dark. Per questo ci siamo rivolti a Randy, gli ho scritto un paio di volte e ci siamo messi d’accordo facilmente. I Lamb Of God hanno suonato a Zurigo, sono andato a prenderlo e l’ho portato in studio. È un pezzo a cui sono legato molto e la stessa cosa vale per ‘Rebirth’, che ho composto appena dopo ‘Evocation II’ e ha dato il via al processo di songwriting.
(parole di Chrigel Glanzmann)