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Italia
Pubblicato il 30/03/2021 da Lorenzo Becciani

Com'è stata la transizione tra 'Migration Light' e 'Del Fuoco'?
D: Il cambiamento principale è in realtà avvenuto in formazione. Abbiamo cambiato bassista. Giacomo Rogora è entrato ufficialmente nel gruppo poco dopo l’uscita di 'Migration Light', suonando tutte le date a supporto della promozione di quel disco. E’ con lui che abbiamo iniziato a comporre i pezzi nuovi, ovvero 'Del Fuoco'.

Cinque anni non sono pochi. Quando avete iniziato a comporre le nuove tracce? Qual era la visione iniziale?
A: Praticamente da subito, live permettendo durante le prove cerchiamo sempre di dedicare del tempo a suonare qualcosa di nuovo che possa diventare un nuovo brano. Questo è il nostro approccio praticamente da sempre. 

Dove si sono svolte le registrazioni? Che suono volevate ottenere stavolta?
A: abbiamo registrato al Trai Studio di Inzago e abbiamo mixato nell’home studio di Francesco (Synth). A differenza di 'Migration Light', che era stato interamente registrato da noi, volevamo che suonasse più profondo e meno tagliente. 
D: Abbiamo cercato di arrangiare meno lavorando in sottrazione piuttosto che aggiungendo. Ci si siamo resi conto suonando che alcuni mood ossessivi, che un tempo avremmo cercato di variare, in quel momento ci soddisfacevano così com’erano. Il risultato è sicuramente un disco più da “viaggio” e meno nervoso del precedente.
 
In termini di produzione e missaggio avete seguito dei template specifici? Avevate in mente dei suoni di chitarra, basso e batteria particolari?
A: Durante gli anni di composizione di 'Del Fuoco' ho cambiato quasi tutta l’effettistica, dai distorsori ai delay, prima di 'Migration Light' avevo cambiato chitarra passando ad una baritona. Ognuno di noi cerca di evolvere il proprio suono di album in album facendo un lavoro di ricerca.
Sulle chitarre ho cercato un suono meno “fuzzoso” cercando di rimanere “grosso” ma più definito.
D: Anche sulla batteria ho fatto dei cambiamenti, i fusti son rimasti gli stessi ma ho cambiato un paio di piatti, ride e crash. Il risultato è un suono di fondo leggermente schiarito rispetto al setup che avevo nel disco precedente. 
F. Nessuno schema specifico nella produzione di 'Del Fuoco', il lavoro più grosso sul suono lo facciamo in saletta, prova dopo prova. Nella produzione del disco cerchiamo di riprodurre esattamente quello, mettendoci meno mano possibile.

‘Dal Deserto’ è il mio pezzo preferito in assoluto. Volete raccontarci come è nato e qual è il suo significato?
A: 'Dal Deserto' piace molto anche a noi e ha una storia travagliata. La melodia principale di chitarra ce l’ho in testa da parecchi anni, avevamo provato a lavorarci anche durante la composizione di 'Migration Light' ma non riuscivamo a tirarci fuori un pezzo. La melodia ci gasava e ogni tanto provavamo a rimetterci la testa finendo, però, sempre in un punto morto. La soluzione è stata cambiare il riff principale su cui lavoravamo mantenendo la melodia ma affrontandolo in maniera differente, magicamente tutte le varie parti si sono incastrate tra loro a formare quella che è adesso la versione definitiva… è stato un lavoraccio, a volte anche frustrante, ma alla fine ne siamo parecchio contenti. 
G: 'Dal Deserto' è anche il brano che ha aperto la strada ad un nuovo approccio di scrittura e contemporaneamente chiarito il “mood” che il disco avrebbe pian piano preso. Dopo aver fatto e disfatto il pezzo almeno una 10 di volte, ricercando variazioni ritmiche, di intensità, aperture ci siamo guardati e abbiamo pensato “questo pezzo è ossessionante, non riusciamo ad uscirne”. Il risultato è stato accettare questa “ossessione” e riproporla nella traccia. Da qui il lungo finale sempre uguale a se stesso che si rincorre ossessivamente fino alla risoluzione. E’ un approccio che abbiamo avuto anche in altri brani del disco, accettando serenamente questo concetto di “ossessione”, una delle chiavi di lettura di 'Del Fuoco'. 

Vi siete mai sentiti ‘Dispersi’ nell’industria musicale?
A: Pensiamo di non aver niente a che fare con l’industria musicale. Ci siamo sempre mossi nel mondo del DIY e  il concetto stesso di industria musicale ci fa un po’ rabbrividire.
D: Ai tempi, 2007 circa, si parlava di “scena”, ovvero band che si abbracciavano e si rispettavano, anche e soprattutto a distanza in Italia, suonando con la stessa attitudine. Quella era la nostra “industria musicale”. Dire che è un lontano ricordo è dire poco.

C’è un pezzo chiave dell’album? Non necessariamente il migliore, ma quello che ha guidato un po’ tutto il processo..
D. Sicuramente 'Fiori immortali'. E’ il primo pezzo nato per questo disco e sin da subito lo abbiamo identificato come brano di transizione tra la fine di 'Migration Light' e l’inizio del nuovo disco. Con questo pezzo, emerso dalle nostre solite sessioni di improvvisazione in saletta, avevamo capito che anche una componente di “world music” si era insediata in noi nei 5 anni che ci separavano dal disco precedente e quindi… poteva essere una via percorribile. Ci abbiamo provato, ed è uscito tutto il resto.
G: Davide ha ragione. 'Fiori Immortali' ha segnato per noi il momento di “fare la muta”, un po’ come i rettili, un concetto che è molto uscito nelle discussioni tra una prova e l’altra. C’è questa idea di portare elementi di musica extraeuropea, anche lievi, nel massimo rispetto dei suoni e delle tradizioni altrui. C’era anche l’idea di un brano con un certo groove, e tante ispirazioni da band che forse in precedenza non avremmo considerato nel nostro sound. Allo stesso tempo c’è tanto del nostro abituale suono: l’apertura centrale, il finale che si avvicina a una certa sonorità “doom”. Per questo parliamo di “fare la muta”, siamo sempre noi ma avvolti da una pelle nuova. 

Vi ritenete un gruppo post-rock italiano o internazionale? Quali sono i vostri miti ineguagliabili ed i vostri competitor maggiori?
A: Sinceramente non ci siamo mai posti la domanda, ci approcciamo all’italia e all’estero nello stesso modo. Non siamo degli esterofili convinti, abbiamo trovato situazioni e persone stupende sia in Italia che all’estero e allo stesso modo ci siamo trovati in situazioni non troppo gradevoli in entrambe le realtà. Competitor è un’altra parola che facciamo fatica a digerire legata al mondo della musica. Facendo parte di una piccola realtà, avere persone con cui condividere un genere, ma soprattutto un’attitudine, può essere solo un bene. Poi sicuramente ci sono gruppi con cui negli anni abbiamo legato e altri con cui non ci siamo trovati umanamente o musicalmente, è normale, ma non abbiamo mai vissuto la cosa come una competizione.
F. All’inizio accettavamo l’etichetta post-rock, oggi a distanza di anni facciamo molta fatica a digerirla. Non è più bello semplicemente “rock”? Per noi sì, è più bello e più stimolante essere un gruppo rock.

Quali sono i ricordi più belli delle sessioni di ‘Until Today Becomes Yesterday’?
D. Mi chiedi una cosa di tanto tempo fa! Sicuramente Andrea Cajelli, i kebab, la playstation e registrare vedendo il lago dalle finestre della sala di ripresa.
F. E’ il nostro primo album full length, è già un buon ricordo di per sé. Sicuramente però la presenza di Andrea Cajelli, che oggi non c’è più, è uno dei ricordi che ci porteremo sempre dietro. Registrammo da lui, alla Sauna di Varano Borghi, anche il nostro lavoro successivo, 'Scents', nel 2012). E' stato un punto di riferimento per moltissimi musicisti in Italia, nel suo studio si creava qualcosa di non riproducibile altrove, qualcosa di autenticamente positivo, buono. Il merito era suo, per noi è un pilastro della nostra di band, e 'Del Fuoco' è dedicato a lui.

In tutti questi anni qual è stato invece il momento più difficile?
A: Siamo un gruppo attivo dal 2006 quindi negli anni ci sono state discussioni e momenti di tensione tra di noi come è normale che succeda tra persone che si conoscono da anni. Il momento, forse, più difficile è stato quando il bassista fondatore Andrea Menandro ha deciso di lasciare il gruppo. Fino ad allora avevamo sempre pensato che saremmo stati sempre noi quattro e dover affrontare la ricerca di un nuovo componente da inserire in una realtà così solida basata principalmente sull’amicizia è stato un momento sicuramente difficile. Poi ci abbiamo preso gusto e abbiamo cambiato bassista un’altra volta.

C’è un gruppo italiano che vi ha colpito in modo particolare? 
A: I Lento sicuramente son sempre stati per me un esempio da seguire anche se abbiamo iniziato quasi contemporaneamente e il loro primo album non lo amo particolarmente, ma gli riconosco il coraggio di sperimentare e di non ripetersi nonostante i consensi ricevuti. Gli album successivi li ho consumati e dal vivo mi han sempre spettinato, quindi per me sicuramente tra i migliori in Italia.  
D. Sono rimasto folgorato dal disco degli Sherpa, band, se non erro, di Pescara. 
G: SonoSherpa, I Hate My Village, Pleiadees, Mai Mai Mai e Nero Kane sono quelli che più ho ascoltato in questi due anni. 

In attesa che l’attività live riparta qual è stato il vostro miglior concerto in assoluto fino a questo momento? 
D. Con “migliore” intendi a livello di performance nostra o di goduria? Le due cose spesso non coesistono. Sicuramente, per quanto mi riguarda, il secondo concerto a Tokyo, all’ERA, è stato e sempre rimarrà nelle nostre teste per un mix di fattori. Avevamo fatto 12mila km per suonare praticamente dall’altra parte del mondo, in un locale bellissimo, pieno di giapponesi attentissimi ed intenti a godersi ogni secondo del festival. Siamo saliti sul palco con una voglia incredibile di dare il massimo, di suonare bene e di goderci il tutto nel modo migliore...ricordiamo di esserci riusciti ed è stato memorabile, non ci sono altre parole.
A: Il concerto all’ERA è stato un punto di arrivo importante per noi e uno dei più belli, ma per assurdo come divertimento il migliore per me è stato in una sala prove a Monchengladbach davanti a 20 persone, o il primo concerto a Berlino, prima data di un minitour in Germania con solo un piccolo EP fuori o il terzo live in assoluto di spalla ai Callisto a Bolzano con l’EP masterizzato e la copertina stampata in copisteria. Ce ne portiamo tanti nel cuore e ci manca un sacco, tra la registrazioni del disco e la pandemia ci siamo appena resi conto che son passati quasi 3 anni dal nostro ultimo concerto. Speriamo di riuscire a portare 'Del Fuoco' presto in giro, lo speriamo sul serio.

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From Italia

Discography
Until Today Becomes Yesterday (2009)
Scents (2012)
Migration Light (2015)
Del Fuoco (2020)