Partirei dalla copertina che è molto orginale. Com'è nato il contatto con questo artista brasiliano e perché vi siete fatti raffigurare senza testa?
In effetti un po’ fuori di testa lo siamo. È stata come una congiunzione astrale. Lunàtico ha la consuetudine di raffigurare le persone senza testa. É una sorta di firma e ci è piaciuta fin da subito. Poi l’immagine si collega bene al concept dell’album perché ‘Synchronizer’ parla del nostro orologio biologico, che ci fa svegliare ad una certa ora o ci fa venire fame ad un’altra con una cadenza perfetta. Lo stormo di uccelli simboleggia l’idea di sincronizzarci insieme.
Il titolo dell’album pare proiettato al futuro mentre ‘The Living Past’ parlava di passato e di presente. Cosa è cambiato nel frattempo?
Abbiamo un nuovo chitarrista. Il titolo rispecchia il momento in cui abbiamo scritto l’album con un grande senso di riaffermazione e di rinascita a livello mentale. Ci siamo proiettati in avanti, pensando di più al futuro, mentre ‘The Living Past’ è nato in un periodo in cui ci sentivamo più legati al passato ed al sogno di diventare una band di successo. Quando l’abbiamo scritto era come se stessimo combattendo una lotta che ci portavamo dietro da molto tempo.
Quali sono le differenze sostanziali tra i due dischi?
Soprattutto nella parte struttuale e melodica delle canzoni. In passato la base era quasi sempre molto sporca, funk tendente al rock. Con ‘Synchronizer’ abbiamo cercato di dare un volto diverso ad ogni canzone. Per esempio ‘Golden Mine’ è totalmente diversa da ‘Fire Brigade’ e nel complesso il nostro suono è più difficile da etichettare. Abbiamo lavorato molto sui giri armonici, c’è stata grande attenzione alla struttura dei brani ed i produttori hanno stimolato in maniera diversa.
È stato un processo complicato?
C’era un po’ di paura di non capirsi a livello creativo. Alla fine però è andato tutto bene. Siamo partiti con alcune jam a fine estate del 2019 e così abbiamo buttato giù le prime idee.
Qual è la traccia che secondo voi vi rappresenta di più al momento?
Sicuramente ‘Elephant’ ci identifica molto. In generale è stato parecchio difficile scegliere i singoli. Ne abbiamo discusso tante volte e ogni volta l’elenco dei potenziali singoli era diverso. Le demo poi suonavano in un modo e quando abbiamo prodotto le canzoni sono cambiate. Anche mentre uscivano ci chiedevamo ancora se avessimo fatto la scelta giusta ma crediamo che questo sia un bene.
Lavorare con tre produttori diversi non deve essere stato semplice..
Inizialmente sarebbero dovuti venire in Italia ma poi è scattata l’emergenza sanitaria e quindi abbiamo registrato dieci giorni all’Hexagon Studio di Rubiera in maniera estremamente meticolosa e poi siamo andati in Inghilterra a produrre le tracce. Pensa che solo per la batteria abbiamo usato ventiquattro microfoni. A settembre siamo riusciti a partire e siamo stati prima da Brett Shaw al 123 Studio di Londra. Con lui abbiamo lavorato circa una settimana poi, prima di andare a Newcastle da Dan Weller, con cui avevamo collaborato pure per ‘The Living Past’, siamo passati dal Matrix Studio di Julian Emery. Il suo è uno studio bellissimo, un ambiente dove ci sono anche stanze per le conferenze, per il booking ed il management. È stato molto bello conoscere una realtà del genere ma ci siamo trovati bene con tutti. Il problema è stato spostarci in treno, metropolitana e autobus. Ognuno ci ha dato un’impronta sonora specifica e sul disco si sente bene. In ‘Golden Mine’ e ‘Every Day Special’ per esempio si sente il tocco di Brett Shaw, che ha lavorato in passato con Foals e Florence & The Machine. In ‘Fire Brigade’ c’è una certa influenza alla Nothing But Thieves e non a caso è stata prodotta da Julian Emery e anche Dan Weller ha un suono molto pulito ed è bravissimo con gli ambient ed i synth.
Mai comunque come lanciarsi da un aereo per promuovere il disco...
L’idea è nata da una ragazza del nostro team. Una follia che di giorno in giorno si è trasformata in realtà. Alla fine è una cosa che possono fare tutti. Dopo le raccomandazioni degli istruttori ci siamo lanciati da oltre quattromila metri e, una volta atterrati, abbiamo suonato le canzoni di ‘Synchronizer’. Tommaso era terrorizzato ma sentivamo il bisogno di fare qualcosa di speciale e volevamo attirare più attenzione possibile con qualcosa di legato al concept del disco.
Con questo disco avete ulteriormente accentuato il vostro profilo estero. Quali sono i mercati da cui avete ricevuto il maggiore feedback fino a questo momento?
Gli Stati Uniti erano nei nostri piani dell’anno scorso ma naturalmente abbiamo dovuto rimandare. Nel complesso i fan che ci seguono dai vecchi tour in USA, Canada e Inghilterra hanno risposto bene e pure in Italia stiamo guadagnando tanto seguito. In questo momento stiamo cercando di organizzare più date possibili ed abbiamo preparato anche un set acustico per farci trovare pronti a qualsiasi situazione.
Quanto tempo dedicate alla band?
Per noi i Piqued Jacks sono una scelta di vita. Non riguardano solo quello che facciamo ma anche quello che pensiamo. Negli ultimi mesi provare è stato difficile pur vivendo vicino e quindi ci siamo concentrati sul resto ovvero concerti, social network, merchandising, fotografie..
Perché ogni giorno è speciale?
Cerchiamo di farlo diventare tale suonando insieme. Con l’emergenza sanitaria è ancora più evidente che nella vita nulla è scontato.
Invece di cosa parla ‘Fire Brigade’?
È un pezzo che parla di combattere per i propri sogni cercando di non farsi abbattere dai giudizi esterni o farsi condizionare dall’ansia, per poi guardarsi alle spalle e capire che i momenti difficili erano solo parte della rinascita.
Cosa avete ascoltato di recente?
Tantissime cose tra cui Foals, Biffy Clyro, Nothing But Thieves e Enter Shikari