Per certi versi la scena post-rock è diventata un po’ noiosa. C’è bisogno di band dal sound unico e voi siete sicuramente una di queste. Come vi siete evoluti a partire dal primo EP?
La band è nata nel 2011 per volontà di Jonas e David. Per loro era una sorta di terapia e scrivevano musica esclusivamente per il loro piacere. Poco dopo mi sono unito io ed abbiamo registrato l’EP in una sola settimana. É stato tutto molto intuitivo e non avevo alcuna esperienza come cantante. Quando sono arrivati Jan e Markus siamo diventati una live band e ci siamo sempre più avvicinati alla visione di band che avevamo fin dall’inizio. Se ascolti ‘Khartoum’ e poi i nostri due full lenght ti renderai conto che siamo cambiati molto. È stato un lungo viaggio ma è bello essere arrivati a questo punto.
In cosa pensi che ‘For What Must We Hope?’ si differenzi da ‘A Long Lost Silence’?
Abbiamo cercato di dare più varietà al nostro sound, sperimentando tecniche diverse e misurandoci sia in ambito ambient che in versanti più rock. Per scrivere le canzoni non abbiamo impiegato tanto tempo ma ce n’è voluto tanto per arrangiarle ed evolverle fino alle versioni che trovate sull’album.
Nella copertina precedente avevate inserito degli animali ed un fitto bosco. Tutti elementi riconducibili all’elemento Terra. In questo caso avete messo in primo piano un faro e quindi siamo vicini all’elemento Acqua. Col prossimo album dobbiamo attenderci qualcosa che vola?
È possibile! L’idea è venuta a Oliver Hummel, che si era occupato anche della cover precedente e che in passato ha collaborato con altre band come Omega Massif e The Clouds Will Clear. Mi piace pensare di essere fuori dal faro, ascoltando le canzoni dell’album insieme ai nostri fan, perché ci piace connetterci col pubblico.
C’è un concept specifico dietro all’album?
No, ma tutte le canzoni sono legate al concetto di speranza o almeno a quello che noi, come musicisti ma anche come esseri umani, consideriamo portatore di speranza. Può essere positiva ma anche negativa. Può essere una guida meravigliosa nella vita. Tuttavia, se speri in cose sbagliate o irrealistiche, può rivelarsi l’esatto contrario. È difficile comprendere certi temi nel periodo che stiamo vivendo e per le liriche mi sono affidato ai filosofi greci, al cristianesimo ma anche a pensatori moderni.
Quali sono le tue tracce preferite di ‘For What Must We Hope?’
Personalmente amo molto ‘Be Brave Fragile Heart’ e ‘Even In The Darkest Place’, che chiude l’album con grande energia, ma sono sicuro che alcune canzoni cresceranno parecchio in sede live.
Che rapporto avete con Napalm Records?
Ci supportano molto. Ogni giorno fanno qualcosa e conoscono il loro mestiere. Per noi firmare per un’etichetta così importante ha segnato un notevole passo in avanti. Qualche anno fa non sapevamo nemmeno come caricare un pezzo su Spotify e adesso ci ritroviamo in un catalogo pieno di dischi bellissimi.
Qual è il vostro rapporto con l’elettronica?
Ha sempre fatto parte del nostro songwriting, soprattutto grazie a Jan e Jonas che sono connessi con la scena minimal e neoclassical. Il resto della band viene da generi differenti, come per esempio il metalcore, ed è stato David a dare l’impronta più post-rock.
Quali sono le altre band post-rock tedesche che meritano la nostra attenzione?
Oltre ai Long Distance Calling che ormai sono piuttosto famosi, direi i Noir Reva, che ultimamente stanno crescendo molto, ed i Frames.
Per quanto riguarda i classici invece a chi siete maggiormente legati?
Direi su tutti Caspian, This Will Destroy You e Explosions In The Sky.
(parole di Andreas Richau)