Partiamo dai primi anni nella band. Quali sono i ricordi più belli di quando avete cominciato a suonare insieme?
I ricordi più belli sono legati alla mancanza di conoscenza e consapevolezza che avevamo all’epoca. Non avevamo alcuna aspettativa, non capivamo molto dell’industria musicale ma nessuno ci diceva come suonare o cosa fare. È stato un periodo molto eccitante e non ci siamo posti alcun limite, tanto che sono arrivati tanti cambiamenti. La passione è rimasta quella di allora ma l’obiettivo non è mai stato diventare importanti, ricchi e famosi.
Qual è stato il momento in cui avete capito di essere diventati grandi?
È difficile indicare solo un momento. Sono successe tante cose in oltre quindici anni di attività. La sorpresa più grande fu quando volammo negli Stati Uniti per registrare dei demo e quando tornammo nel Regno Unito tutta l’Europa parlava di noi. Ai tempi c’era MySpace e all’improvviso il numero dei nostri follower ebbe un’impennata.
Com’è stata la transizione tra ‘Like A House On Fire’ e ‘See What’s On The Inside’?
Sono due album molto diversi tra loro. ‘Like A House On Fire’ è un album in cui abbiamo cercato di sfruttare al massimo la tecnologia e ogni strumento moderno possibile per ottenere effetti, sfumature e suoni di un certo tipo. Al contrario, in ‘See What’s On The Inside’ non c’è niente di tutto questo. Abbiamo ricreato certe soluzioni avvalendoci soltanto della strumentazione standard e naturalmente questo processo ha significato tanto tempo e tanta pazienza.
Che tipologia di suono volevate ottenere?
Un suono semplice da visualizzare nelle nostre teste ma difficile da riprodurre in tutti i suoi aspetti. Per ogni canzone abbiamo provato sei-sette chitarre diverse, microfoni, amplificatori e tastiere. Abbiamo lavorato molto sulle dinamiche cercando di ottenere qualcosa di organico ma soprattutto di dare ad ogni canzone quello di cui aveva bisogno.
In quale fase del processo nascono i testi e le parti vocali?
Danny lavora a testi e parti vocali insieme. Prima si costruisce le melodie in testa e quando comincia a trovare le parole giuste sa già cosa vuole. Mi lascia aggiungere elementi alle canzoni e così crea le storie.
Potrà sembrare strano visto che l’emergenza sanitaria vi ha impedito di suonare dal vivo come avreste voluto eppure l’anno che si è appena concluso è stato il migliore della vostra carriera. Non solo avete firmato per Better Noise Records, ma avete pubblicato il vostro capolavoro e spinto un singolo al numero uno delle classifiche americane.
Sono d’accordo con te. Come artisti cerchiamo sempre di creare qualcosa di magico e anche in un periodo difficile non abbiamo mai smesso di crederci. ‘See What’s On The Inside’ è il nostro migliore lavoro e ci rappresenta totalmente. Spero che i miei ragazzi lo troveranno figo quando saranno grandi.
Tante band, anche le più giovani, hanno sfruttato questo periodo di buio per stilare un bilancio delle loro carriere e hanno aspettato tempi migliori per pubblicare il nuovo materiale. Voi invece avete pubblicato non solo un nuovo album ma anche un EP. Come è nata l’idea di fare uscire ‘Never Gonna Learn’?
Prima di tutto amiamo la musica e amiamo creare nuova musica. Come ti dicevo prima, la passione è la stessa di quando abbiamo cominciato e quindi scriviamo in continuazione. Quando sei da tanti anni nell’ambiente è facile finire vittima di un ciclo. Disco, tour, tour, disco, tour, disco ecc.. Una volta che si è rotto questo ciclo, siamo tornati a parlare solo di musica. L’idea di pubblicare un EP è nata quando dovevamo fare uscire il secondo singolo di ‘See What’s On The Inside’. L’album non è nato singolo dopo singolo ma come un vero viaggio e così abbiamo deciso di continuare su quella base di lavoro. È stato un modo per continuare la storia e regalare qualcosa di extra ai nostri fan, dopo il successo di ‘Alone Again’.
Qual è il messaggio principale?
Ognuno di noi subisce tanta pressione. I social ti fanno vedere tutto perfetto e quindi tutti pensano di essere in difetto. Invece è normale essere umani e commettere degli errori.
La collaborazione con Maria Brink degli In This Moment è stata naturale?
Non solo è stata naturale ma molto veloce. Le ho scritto un messaggio, facendole sentire la canzone e dopo dieci minuti mi ha risposto che le piaceva da morire. Non è stato un featuring come tanti altri ma una vera collaborazione. Infatti le abbiamo dato totale libertà creativa e credo che il risultato sia davvero eccellente.
Oltre a ‘New Devil’, nell’EP c’è un grande pezzo come ‘Miles Away’. Forse il migliore che abbiate mai scritto.
È una canzone ispirata alla morte del mio tecnico della chitarra. È successo due anni fa e ancora ci penso perché era uno dei miei migliori amici e sono ancora molto legato alla sua famiglia. È un pezzo che parla di una tragedia ma non volevo che suonasse triste.
(parole di Ben Bruce)