Prima di tutto complimenti. Il nuovo album è la dimostrazione che avevo ragione quando vi ho visto di spalle agli Epica. Sono tanti anni fa, ma già si percepiva che avevate tutto per suonare all’estero e imporvi su scala internazionale.
Ti ringrazio di cuore. Ricordo che quel concerto, alle Cascine di Firenze, non fu semplice per noi perché dovemmo fare il soundcheck all’ultimo e davanti alle persone. In ogni caso abbbiamo passato anni a fare tutto il possibile per arrivare lontano, spendendo soldi nella musica, prendendo ferie dal lavoro e così via. Quando è arrivata un’opportunità l’abbiamo colta al volo. Adesso lavoriamo per migliorarci ancora e sono molto orgoglioso di ‘Warfront’ perché credo sia sul serio l’album dei Wind Rose! Con ‘Wintersaga’, abbiamo raggiunto la forma finale a livello compositivo e con questo album ci siamo superati, aggiungendo altri strati e dettagli ad uno stile ben definito. Sono tutte canzoni da battaglia e sono sicuro che dal vivo porterà tanti risultati.
‘Wintersaga’ è stato penalizzato da due anni di sospensione dell’attività dal vivo. Quando avete cominciato a scrivere il nuovo materiale? Qual era la visione?
Fin da subito, perché siamo una macchina che sostanzialmente non si ferma mai. Ovviamente poi i pezzi più vecchi vengono rilavorati e sistemati, in maniera da rendere il materiale coeso. Il processo è stato decisamente diverso perché invece di lavorare insieme come al solito io, Claudio e Federico, ci siamo trovati davanti ad un computer. Ciò ha comportato un distacco importante ed un approccio più freddo. Non è stato semplice.
Qual è il pezzo che ha guidato tutto il processo?
Mi verrebbe da risponderti ‘We Were Warriors’, la traccia finale di ‘Wintersaga’ perché abbiamo scritto tanti riff, parti e canzoni pensando a quella tipologia di heavy metal solenne e cupo. Volendo invece individuare un pezzo di questo disco allora non ho dubbi e dico ‘Together We Rise’, perché ha letteralmente stravolto il processo. Quando l’abbiamo scritto ci ha dato subito la sensazione che fosse una carta vincente. Da quel momento abbiamo continuato, aggiungendo ancora più riff e più pesantezza, oltre ad un tocco di ghiaccio. È un elemento che rimane immutato, una sensazione che ci ha trasmesso la pandemia, quando non sapevano come saremmo venuti fuori da questa situazione e soprattutto quando sarebbe finita. L’unico modo per venirne fuori era rimanere insieme e combattere. Non ci sono solo battaglie tra eserciti ma anche contro noi stessi e le avversità che ci affliggono. Se ne esce tutti insieme e questo è il messaggio principale del disco. Chiaramente nell’album, c’è ancora l’elemento del fuoco, basta pensare a ‘Fellows Of The Hammer’ e ‘Tomorrow Has Come’.
Qual è il testo a cui sei più legato?
Sicuramente a quello di ‘I Am The Mountain’. È scritta in maniera epica, ma la storia parla di una persona che cammina in una terra morta, ghiacciata, e vorrebbe riposarsi. Però non ce la fa, perché sa che su quella montagna ci sono il fuoco e la vita e deve raggiungerla. Una volta raggiunta, da lì riesce a vedere ciò che prima non riusciva a vedere. Naturalmente il testo parla del passato, del presente e del futuro di una persona
Ritieni che l’evoluzione sonora della band sia la risposta a ciò che la gente vi ha chiesto in tour?
In realtà la nostra proposta è dovuta a quello che ci siamo sentiti di narrare, raccontare e scrivere e più che altro dal periodo difficile che abbiamo trascorso. È stata anche una scommessa con noi stessi. Volevamo fare vedere al mondo che siamo un gruppo serio, dopo il successo clamoroso di ‘Diggy Diggy Hole’. Non ci sono party song stavolta, ma bisogna anche capire il periodo surreale in cui è nato il disco. Non c’era niente da ridere quando lo abbiamo composto.
A livello di produzione cosa desideravate ottenere?
È il secondo disco che facciamo con Lasse Lammert e ormai ha capito qual è il nostro sound. Si è davvero superato e ha saputo ottenere un suono bellissimo, nel quale emergono tutti gli strumenti ma che a livello di impatto è ancora superiore. É un suono heavy ma si sentono meglio i dettagli.
Com’è il rapporto con Napalm? Quando è nato il contatto?
Il rapporto molto buono. Ci hanno fatto la prima proposta dopo averci visto al Path To Glory tour con Ensiferum e Ex-Deo. Noi però la rifiutammo perché non era abbastanza buona. A quel punto Maurizio Iacono ci ha preso sotto la sua ala protettica con la Hard Impact Music e la scelta è stata giusta perché ci ha fatto avere un contratto migliore. Con ‘Diggy Diggy Hole’ abbiamo avuto un po’ di fortuna ed il resto è venuto di conseguenza.
Qual è il concerto che ti mette ancora i brividi?
Il Bloodstock Open Air del 2017! E’ stato il nostro primo successo internazionale dopo la pubblicazione del video di ‘To Erebor’. Ci esibimmo sullo stage secondario, il giorno prima che iniziasse il festival, e c’erano 7000 persone. Quando cominciarono a cantare a memoria il pezzo fu incredibile. È stato il momento in cui abbiamo penetrato il mercato anglosassone. Ancora oggi, dopo gli Stati Uniti che però sono immensi dal punto di vista geografico, il Regno Unito è il primo paese per ascolti su Spotify dei brani dei Wind Rose .
C’è una band con cui ti piacerebbe andare in tour?
I Sabaton perché secondo me sarebbe una bella accoppiata. In fondo siamo complementari. Loro sono più su una guerra moderna con sonorità abbastanza commerciali mentre noi siamo più da ascolto e con retaggi fantasy.
(parole di Francesco Cavalieri)