Dopo più di quattordici anni avete finalmente pubblicato un nuovo album. In tanti non ci speravano nemmeno più. Quando avete capito che era il momento giusto per tornare?
In questo periodo ci siamo dedicati ad altri progetti e abbiamo aspettato il momento giusto per tornare. Ci siamo semplicemente detti che quando avremmo sentito l’esigenza di pubblicare un nuovo album lo avremmo fatto e così è successo.
Molti artisti della vostra generazione stanno organizzando tour d’addio per salutare i propri fan. Mi auguro che non sia il vostro ultimo album.
Nella vita non puoi mai sapere cosa accadrà, ma continueremo a scrivere canzoni e l’obiettivo è non metterci così tanto.
Ciò che appare ovvio è che ‘Three Sides Of One’ è un album in cui ognuno di voi ha portato delle canzoni che poi sono state lavorate collettivamente dalla band, un po’ come i Beatles del ‘White Album’. Siete sempre stati abituati a lavorare così oppure il processo è cambiato in tal senso?
Il processo è stato divertente e rilassato. Ormai ci conosciamo bene e per noi suonare è un divertimento. Abbiamo lavorato sempre con questa modalità ma Jerry di solito portava una canzone o due al massimo e invece stavolta il suo contributo è stato maggiore.
Alcuni pezzi potrebbero essere già dei classici e questo dimostra che la vostra abilità nel creare canzoni meravigliose è intatta. Penso a ‘Let It Rain’, ‘Watcher’ ma più che altro a ‘Swipe’, che ritengo una vera gemma. Ritieni che la vostra incredibile storia sia racchiusa in canzoni come queste?
Non so se ci siamo riusciti, ma quando abbiamo iniziato a parlare del nuovo album avevamo un’idea comune ovvero scrivere del materiale che rappresentasse il meglio dei King’s X in tanti anni di carriera. Sono contento che ti piaccia ‘Swipe’, perché è una canzone che significa molto per me.
Adesso vorrei compiere un salto a ritroso nel tempo e tornare ai primi anni ‘90 quando uscì ‘Dogman’, che suonava completamente differente dai vostri precedenti lavori. Quanto è stato rilevante Brendan O’ Brien come produttore?
Ad un certo punto ci rendemmo conto che scrivevamo delle canzoni decenti ma che non suonavamo come una live band. Per questo parlammo con Brendan che accettò di collaborare con noi e riuscì a trasformarci in qualcosa di più concreto. Per la title track girammo il nostro primo video e l’album ebbe un certo successo nelle radio newyorkesi, ma l’assenza di un pezzo commerciale lo penalizzò a livello di vendite.
Perché Ty non cantò molto su quel disco?
Perché in quel periodo non voleva farlo.
‘Ear Candy’ era un disco più leggero, anche se aveva tutto per finire in cima alle classifiche. Cosa andò storto?
Non siamo mai stati capaci a scrivere pezzi commerciali. Abbiamo sempre composto col cuore e se segui col cuore è impossibile manipolare una canzone per farla diventare qualcosa di diverso.
Dopo la fine del contratto con Atlantic Records, avete pubblicato tanti dischi interessanti. ‘Tape Head’ per esempio è stato sottovalutato a mio parere. Pensi che il clamore attorno alla band diminuì in quel periodo?
Il problema fu soprattutto che non sapevamo come etichettarci. Non eravamo metal, ma eravamo heavy e nella nostra musica c’erano troppi colori diversi.
Perché decideste di pubblicare ‘Black Live Sunday’, con tutte quelle vecchie canzoni?
L’idea nacque quasi per caso. Avevamo quelle canzoni da parte e provammo a rimetterci mano. All’epoca fu divertente, ma non so se ripeteremo mai quell’esperimento.
Com’è stato lavorare con Michael Parnin?
Lo conosco da tanto tempo. Quindici anni fa mi sono trasferito a Los Angeles ed i primi tempi ho dormito nel suo studio, in attesa di trovare una sistemazione. Così siamo diventati amici e ha prodotto il mio album solista ‘Strum Sum Up’ oltre a darmi una mano con ‘Naked’. Abbiamo cercato di lavorare nel modo più analogico possibile. Anche la masterizzazione è avvenuta su nastro. A parte i Pro Tools non abbiamo utilizzato niente di digitale.
Perché avete scelto ‘All God’s Children’ come singolo?
È stata l’etichetta a scegliere. A noi andavano bene tutte le canzoni.
Pensi che l’abbiano scelta per sottolineare il vostro lato spirituale?
Non credo.. Penso che sia stata soprattutto una scelta dettata dal business.
Hai avuto tanti progetti paralleli in carriera. Ci sono dei dischi o dei musicisti con cui hai collaborato ai quali sei maggiormente legato?
Amo tutti i dischi che ho registrato. KXM è un grande progetto, ma ricordo con piacere anche i Pinnick Gales Pridgen e ‘Tres Mts’, con Jeff Ament e Richard Stuverud. Quando Mike McCready ci raggiunse in studio fu davvero magico.
Qual è la lezione più grande che hai imparato in tutti questi anni?
Scrivere con passione. Non puoi fare nulla di buono se non lo senti dentro.
C’è una sorta di maledizione legata ai vostri tour in Italia.
Stiamo riprogrammando il tour che abbiamo dovuto cancellare e torneremo anche in Italia. Ci sono stato due volte e avrei voluto vedere di più. Ricordo che con gli MC5 passammo due giorni bellissimi.
Hai dei rimpianti?
Non ho mai avuto delle aspettative. Faccio quello che amo e sono influenzato da tutto quello che gira nella mia vita. Non potrei chiedere di meglio.
(parole di Dug Pinnick)