Prima di tutto direi di presentare il vostro nuovo bassista.
Aggiungere un nuovo membro non è mai facile. Non è una questione di tecnica, quanto di attitudine e di chimica con gli altri individui presenti nella band. Sono aspetti che non è possibile sottovalutare perché un tour può essere molto stressante. Al momento di dovere scegliere il sostituto di Joe Allen, abbiamo valutato un paio di candidati ma poi è stato naturale puntare su Greg Wilkinson. Intanto perché lo vedevamo quasi tutti i giorni, visto che lavora come ingegnere del suono ed è il proprietario degli Earhammer Studios di Oakland e la nostra sala prove si trova accanto. Poi perché ci conosceva così bene che non avrebbe avuto senso nemmeno metterlo alla prova. In definitiva è stata la scelta più immediata e, visto quanto è stato meticoloso nel registrare le sue parti, devo dire che si è rivelata vincente.
È stato difficile iniziare un nuovo processo e dare alla luce ‘Morbidity Triumphant’?
Non direi che è stato difficile, ma sicuramente è stato un processo complicato. Non parlo solamente di pandemia. Dal punto di vista della composizione e della registrazione è stato tutto veloce. Il problema è stato fare conciliare tutti i nostri impegni. A Gennaio abbiamo avuto la possibilità di suonare dal vivo, per la prima volta dopo quasi due anni, e ci siamo dovuti preparare a tempo record. A quel punto è stato il momento di entrare in studio ed in due mesi abbiamo dovuto finire di scrivere l’album e registrarlo. In questi anni ci siamo tenuti occupati ed abbiamo cercato di fare in modo che il nostro ritorno sulle scene fosse il migliore possibile. Può sembrare strano ma per noi è molto più difficile trovare il giusto titolo. Non vogliamo copiare nessuno ed è difficile avere sempre delle buone idee. Stavolta abbiamo puntato sul termine “triumphant” perché guardando l’artwork di Wes avevamo l’impressione che il personaggio spiccasse come un sovrano sul resto della scena. “Morbid” è invece una parola che ci piace particolarmente.
In questo periodo avete rilasciato un sacco di materiale.
Abbiamo viaggiato molto fino a quando non è scoppiata la pandemia. Ai tempi di ‘Puncturing The Grotesque’ ci siamo sentiti a nostro agio con un formato più breve, per dare al mondo cinque o sei tracce davvero aggressive. Poi è uscito lo split con i Bloodbath, poi una raccolta di demo ed un live album. A quel punto i nostri piani sono andati a farsi benedire e abbiamo dovuto aspettare due anni per tornare in studio.
Ritieni che ‘Morbidity Triumphant’ sia il naturale successore di ‘Tourniquets, Hacksaws and Graves’ e ‘Skull Grinder’?
Non abbiamo mai fatto certe valutazioni. Questo perché, anche se sono cambiati i musicisti, siamo la stessa band del 1987. Ciò non significa essere nostalgici o retrogradi, ma semplicemente la pensiamo sempre in quel modo. Tutte le volte che entriamo in studio non guardiamo indietro ma guardiamo avanti e cerchiamo di registrare ogni canzone perché sia memorabile. Imitare cose che abbiamo già fatto sarebbe noioso.
Possiamo definire ‘Skin By Skin’ il pezzo chiave del disco?
È un grande pezzo. Lo ha scritto quasi tutto Eric e quando me lo ha fatto ascoltare sono subito rimasto colpito dalla stranezza dei layers di chitarra e delle armonie. Anche se è stata l’etichetta a sceglierlo come singolo, trovo che sia davvero disturbante e soprattutto che sia perfetto per presentare il ritorno degli Autopsy. Tra l’altro ha ispirato la copertina di Wes Benscoter, che è sul serio grandiosa. Stiamo ricevendo feedback estremamente positivi in merito. Non è comunque il solo pezzo che merita di essere ascoltato. Amo molto anche ‘‘Maggots In The Mirror’, che abbiamo già proposto dal vivo con eccellenti risultati.
Non è un po’ frustrante per voi essere ancora associati a dischi come ‘Severed Survival’ e ‘Mental Funeral’. Dico questo perché altri dischi hanno fatto la storia. Mi viene in mente ‘Macabre Eternal’ per esempio.
Mi fa piacere sentirtelo dire, ma sarebbe frustrante se le riviste non parlassero di nessun disco del passato. Se parlano dei primi due dischi va bene. É normale per certi versi perché gli Autopsy vengono considerati un gruppo basilare per la scena death. Non ci possiamo lamentare anche perché abbiamo un’etichetta eccellente. Siamo con Peaceville da sempre, perché non hanno troppe band nel loro roster e così possono curare la promozione in maniera impeccabile.
La scena death metal è molto attiva. Tutti i mesi escono 5-6 dischi che fanno discutere. Trovi che la media delle uscite sia buona?
É abbastanza soggettivo. Ogni tanto ascolto delle buone cose. Il death è un genere che difficilmente morirà perché c’è ancora tanto bisogno di parlare di certi temi. Alcuni lo riterranno sempre disgustoso, ma in tanti lo continueranno a trovare interessante. In carriera ci è capitato di suonare per dieci persone come per migliaia. Altri sottogeneri sono scomparsi, ma credo che il death rimarrà sempre popolare. Un aspetto che trovo curioso è che i figli di coloro che, come me, hanno contribuito a definire lo stile adesso sono adulti e ascoltano metal estremo.
Questo è perché avete fatto un ottimo lavoro.
Ti ringrazio. All’inizio non è stato facile perché, soprattutto qui nella Bay Area, suonare death non era figo. Tutti volevamo ascoltare thrash o punk e ti guardavano come un perdente. Non capivano i testi, in cui non c’era niente di politico, e lo trovavano spazzatura.
Dimmi la verità. Ascolti deathcore?
Non so cosa sia.
(parole di Chris Reifert)