Ciao Cristiano, come stai?
Abbastanza bene.
Sei in studio? Stai lavorando a qualcosa?
Oggi sono a casa. Ho lavorato tutto il fine settimana quindi mi sono preso il lunedì di riposo. Ad un certa età devo stare attento a non sentirmi male. Poi comunque a casa posso seguire alcune cose della mia attività di insegnante. Da domani torno in miniera.
‘Metal Machine’ colpisce diretto allo stomaco, ma è inevitabile che fosse così. Perchè avete deciso di riprendere proprio questo pezzo dei Kraftwerk?
Prima di tutto è nata l’idea di fare una cover dei Kraftwerk, un gruppo che Dario amava tantissimo. Anche io li amo, però avevo un po’ di remore inizialmente e questo perché parliamo degli Dei e mettere la mano agli Dei è pericoloso. Il rischio di farsi male era altissimo perché in ogni caso volevamo fare un brano che sentissimo nostro. Abbiamo scelto ‘The Man-Machine’ perché nella produzione dei tedeschi il minimalismo è una componente fondamentale. Se ascolti la versione originale del ‘78 ti rendi conto che c’è pochissimo e loro con pochissimi elementi hanno creato un capolavoro. Se l’avessimo ripresa solo dal punto di vista elettronico le possibilità di risultare derivativi e banali sarebbero state elevate e da lì tutti i miei dubbi. Dario però ha sempre avuto una forza di persuasione incredibile nei miei confronti. Mi ha sempre portato a fare qualsiasi cosa. Per questo abbiamo cominciato a lavorarci quattro anni fa, negli spazi tra quei pochi concerti che abbiamo fatto prima della pandemia. Una volta pronta la versione di ‘The Man-Machine’ che portavamo dal vivo, è nata l’idea, insieme a Contempo Records, di pubblicare un dodici pollici contenente un remix di una band affine ai Disciplinatha. L’idea era di dare alla release un respiro internazionale. Una volta arrivata la pandemia si è fermato tutto e quei pezzi sono rimasti nel mio hard disk. Dopo la scomparsa di Dario le prime settimane sono state di scoramento pesante, ma poi ho deciso che questa cover sarebbe dovuta uscire. Era un pezzo che avevamo voluto entrambi fortemente e che era ancora intriso del lavoro di Dario. Ho pensato avesse senso farlo uscire in digitale6 il 2 Dicembre perché era il suo compleanno. È stato una sorta di regalo. Mi sono sentito con Alessandro Nannucci ed è tornata l’idea di pubblicare il dodici pollici per il Record Store Day nel 2023. Sempre ai primi di Dicembre abbiamo organizzato una serata non commemorativa ma celebrativa e dopo tutto questo ho pensato che, a prescindere dal futuro, aveva senso farlo uscire nella sua completezza.
Parliamo della fine di un ciclo.
Assolutamente. Dario non c’è più ed i Dish-Is-Nein non potranno più essere gli stessi. Una persona del genere e una mente come la sua non sono sostituibili. Anzi, posso già dirti che nel caso decideremo di andare avanti non avremo sicuramente un chitarrista. Per quanto riguarda l’uscita abbiamo pensato che il vinile dovesse avere una sua peculiarità e così ho operato una destrutturazione rispetto alla cover. Ho tirato via un sacco di roba, soprattutto le mie voci, che erano già poche, lasciando solo il vocoder. Ho tirato via il basso di Roberta sostituendolo con un basso elettronico e ho lavorato tantissimo le chitarre di Dario fino a quasi saturarle. Ho anche cambiato certe frequenze perché volevo che fosse chiaro che andava a scomparire qualcosa di strutturale.
Hai già praticamente risposto alla mia prossima domanda. Avrei voluto sapere se il vostro approccio alle cover, tutti ricordiamo l’enorme versione di ‘Up Patriots To Arms’ di Franco Battiato, partisse sempre dalla destrutturazione.
Sì, è così. Riprendere l’originale tale e uguale non ha senso. Realizzare una cover può essere un esercizio creativo sublime, una sfida, ma secondo me ha senso se riesci a filtrarla dal punto di vista artistico e metterci dentro qualcosa di tuo. In questo non è cambiato niente. Anche all’epoca di ‘Up Patriots To Arms’ correvamo un grande rischio, ma con i Disciplinatha non abbiamo mai avuto paura di farci male. La stessa cosa vale per i Dish-Is-Nein. Quando è uscito l’EP, ci siamo detti che era il momento di tornare a fare musica e lo abbiamo fatto frontalmente, in maniera aggressiva, come un calcio nei denti. Dentro di noi è rimasta la voglia di fare musica fregandocene di qualsiasi tipo di etichetta o di qualsiasi problema legato al politicamente corretto. Dopo tanti anni, perdona il francesismo, non me ne frega proprio un cazzo! Ciò che mi interessa è semplicemente fare quello che sento, nel modo più opportuno. L’unica persona che deve essere soddisfatta della musica alla fine devo essere io. É ovvio che se viene apprezzata anche da altri non può che farmi piacere, ma non è l’obiettivo principale. Non lo era prima che nascessero i Dish-Is-Nein e non lo sarà mai. Siamo rimasti io e Roberta e per andare avanti dovremo trovare qualcosa che ci caratterizzi e ci gratifichi, che poi è sempre stata la stessa logica con cui ci approcciavamo io e Dario. Potremmo anche riprendere qualcosa a cui aveva lavorato, ma sarebbe come sostituirlo. Ha più senso partire da zero e creare qualcosa di totalmente nuovo. Non voglio avere un altro chitarrista. Poi sarà comunque qualcosa di diverso. Dario non era solo un musicista, era una costante spina nel fianco. Io ogni tanto gli dicevo che aveva rotto i coglioni, ma in realtà sapevo che il suo modo di fare era positivo. Mi spingeva ad andare sempre oltre. Ad alzare l’asticella. Lavorando in uno studio di registrazione e producendo musica sono portato ad avere una certa quadratura mentale. Da un lato è positivo, ma dall’altro può darti problemi a livello creativo. Dario era sempre lì a tenermi sveglio, a portarmi lontano da certi manierismi o dagli schemi precostituiti.
In questa settimana, mentre pensavo a cosa chiederti, ho fatto questa riflessione. Magari è sbagliata, ma voglio condividerla con te. Secondo me quando è uscito l’EP di Dish-Is-Nein è stato un progetto estremamente consapevole ma allo stesso tempo non consapevole. Consapevole perché anche con i Disciplinatha siete sempre stati puntuali e maniacali in ogni dettaglio, dalla produzione all’immaginario visivo, passando per i testi. Per certi versi però anche inconsapevole perché non potevate sapere se il dialogo da instaurare con l’ascoltatore sarebbe stato il medesimo e ciò perché sono passati tanti anni, l’industria è cambiata e con essa anche il modo di ascoltare musica e porsi nei confronti degli artisti. Ti chiedo quindi se in questi cinque anni hai percepito la possibilità di creare ancora quel tipo di dialogo.
Il grosso dubbio che avevamo quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto era se fossimo stati ancora in grado, dopo vent’anni, di proporre qualcosa che fosse prima di tutto contemporaneo. Non volevamo apparire una memorabilia del passato, ma al contrario essere pungenti e attuali. Pensa ad un testo come ‘Nazioni’, quanto è ancora attuale adesso. Per capire se eravamo rimasti ancora agli anni novanta abbiamo buttato giù del materiale e provato a vedere se funzionava. E così è successo. Se ascolto oggi ‘Eva’ mi vengono i brividi. Per rispondere alla tua domanda di conseguenza ti dico che penso sia ancora possibile costruire un dialogo di un certo tipo. Certo dall’altra parte c’è bisogno di avere voglia di ascoltare senza pregiudizi.
Senza volere essere presuntuoso, ritieni che ci siano altri progetti italiani simili al vostro? Non tanto in termini di suono, ma di etica e valori?
In ambiti diversi ci sono alcune cose che mi piacciono ma in Italia ho sentito poco di paragonabile a quello che facciamo noi. Di recente ho prodotto un gruppo molto interessante, La Grazia Obliqua, e credo di aver trasmesso loro il mio modo di fare musica. Però è un progetto diverso. L’EP dei Dish-Is-Nein è nato con l’intento di mettere l’ascoltatore al muro e colpirlo diritto nei denti. Non a caso ai testi ha contribuito un grande liricista come Renato Mercy Carpaneto degli Ianva. In Italia vedo un’anomalia tutta nostra. Parliamoci chiaro, volere fare musica indipendente non significa essere un pioniere che se ne frega di tutto e tutti. Ognuno di noi fa musica per venderla, ma i meccanismi che ci sono in Italia fanno sì che si produca un annacquamento artistico allucinante. Penso a Sanremo con i cartonati al posto del pubblico o al concerto del 1 Maggio che aveva un bill uguale al novanta per cento. Se c’è mai stata una scena indipendente italiana allora è stata fagocitata da tutto questo. Per noi far parte dell’industria significa avere rispetto per chi ci ascolta e per questo curiamo ogni aspetto del progetto in maniera maniacale. Le grafiche del 12” sono state realizzate da Simone Poletti di Dinamo Innesco Rivoluzione e definirlo grafico è riduttivo. Vogliamo immettere sul mercato un oggetto che diventi un corpo unico col contenuto musicale. Il supporto è quindi importante. Quando Dario ha insistito a suo tempo perché pubblicassimo il CD dell’EP aveva ragione, perché li abbiamo esauriti. Adesso pubblicare un vinile è complicato perché una delle due fabbriche al mondo che produceva lacca è andata bruciata e non è stata ricostruita. Aveva tipo il settanta per cento delle quote di mercato e l’azienda che è rimasta, in Giappone, fa logicamente fatica a soddisfare tutte le richieste. Questo ha comportato lunghi ritardi per tutti.
Parliamo adesso della vostra biografia. Personalmente ho trovato “Tu meriti il posto che occupi. La storia dei Disciplinatha” uno dei migliori libri di musica degli ultimi tempi. A distanza di qualche anno aggiungeresti un capitolo?
A pelle direi di no, poi ci dovrei pensare un attimo perché comunque ci sarebbero delle altre cose da raccontare, soprattutto dell’esperienza legata ai Dish-Is-Nein. Quando inizi una nuova avventura ci sono dei motivi che ti spingono a farlo. Significa che hai qualcosa da dire. Adesso che il ciclo è chiuso però quello che avremmo avuto da dire lo tengo per me. É una parte della mia vita e delle cose che mi porto dentro. Ormai è passato un anno dalla sua scomparsa e ho vissuto tutte le fasi del lutto. Prima c’è stata l’incredulità, poi la rabbia, poi ancora la depressione. Ora non sono sereno ma ho accettato lo stato delle cose. Fa sempre parte di me, ma in modo diverso.
(parole di Cristiano Santini)