Partiamo dai Siberia. Perché vi siete sciolti?
Artisticamente eravamo un po’ arrivati, anche se piano piano stavamo cominciando a raccogliere i primi numeri importanti. Dopo due album underground (‘In Un Sogno E’ La Mia Patria’ e ‘Si Vuole Scappare’) abbiamo pubblicato un terzo lavoro dai connotati più pop rock per Sugar (‘Tutti Amiamo Senza Fine’). Il cambiamento è stato radicale perché per la prima volta abbiamo cercato di dare al pubblico quello che pensavamo volesse, nell’ottica di cercare di sopravvivere facendo i musicisti e quindi raggiungere quella soglia minima a livello numerico che ci avrebbe consentito di avere delle economie sostenibili. Ciò ci ha fatto entrare in una sorta di loop e poi è arrivato lo stop forzato a causa della pandemia, con tutto il carico di dolore che si è portava dietro. A quel punto mi sono reso conto che quelle canzoni che avevo pubblicato qualche mese prima non mi rispecchiavano e così ho iniziato a comporre le canzoni di questo EP. Quando le ho proposte agli membri ho capito che ormai andavamo in due direzioni opposte. Il loro desiderio di assecondare certe tendenze pop era più che legittimo, ma alla fine credo che sciogliersi sia stata una decisione saggia.
Vi ho visto tante volte dal vivo e ti giuro che già dal primo concerto mi ero immaginato una tua carriera solista. Il tuo talento era strabordante.
Ti ringrazio. Magari se non ci fosse stata la pandemia il terzo album dei Siberia avrebbe potuto vendere come speravamo. Inizialmente non c’era stata un’esplosione a livello numerico negli streaming e nei passaggi radiofonici, ma avevamo tante date fissate e quindi sulla lunga distanza sarebbe potuto venire fuori. Non lo sapremo mai.
Ne è scaturito comunque un EP fantastico, che denota una personalità disarmante.
Senza dubbio è stata un’operazione sincerità. Lavorare al disco precedente era stato insoddisfacente per me e mi aveva messo addosso un’ansia gigantesca. L’obiettivo erano diventati i risultati e non più l’appagamento artistico o il rapporto col pubblico. Mi ricordo che controllavo decine di volte al giorno Spotify e stavolta invece è tutto più sereno. Questo è un EP che nasce da dentro e rappresenta quello che volevo esprimere. Emma Nolde ha contribuito a renderlo più fresco. In termini di influenze direi che la più grande è stata Nick Cave, soprattutto per l’utilizzo del pianoforte e degli archi. Quando è arrivata Emma ha dato un taglio più moderno alle canzoni, con riferimenti al pop statunitense ed una patina di originalità che serviva. Se avessi prodotto il disco da solo probabilmente sarebbe uscito più coerente ma anche più classico.
Sarei arrivato dopo a Emma Nolde, ma visto che l’hai citata ti confesso che per me è di gran lunga la più grande artista che abbiamo in Italia in questo momento. Ho avuto modo di conoscerla, di vederla sul palco e dietro le quinte e tutte le volte che assisto ad un suo concerto mi emoziono. La trovo davvero eccezionale.
Ti confermo tale impressione. Oltre al talento notevole, ha una devozione quasi maniacale per la musica. Ricordo che durante le pause delle registrazioni, mentre io guadavo distrattamente il cellulare lei era impegnata a cercare delle cuffie per mixare. È una persona che vive la musica nella sua interezza. Ha capito fin da bambina qual era la sua vocazione e affidarle la produzione è stata la scelta migliore possibile. È stata una scelta spontanea dopo averne discusso anche con Andrea Rodini. L’ambizione mi spingeva a volere qualcosa di più e ho pensato che una persona più giovane di me, tra l’altro del sesso opposto, con ascolti completamente diversi potesse portare benefici ad una serie di canzoni che non erano particolarmente facili o suscettibili di entrare in playlist o nelle radio. In comune abbiamo un’attitudine alla musica pura e ci sposiamo bene.
Quali sono le canzoni dove si sente di più il tocco di Emma Nolde secondo te?
Sicuramente ‘Dignità’ e ‘Via Magenta’. ‘Dignità’ è il suo capolavoro. L’avevo arrangiata in maniera molto kraut, ossessiva e circolare. Lei l’ha resa più moderna con una ritmica un po’ storta ed adesso è meno immediatamente individuabile in determinate coordinate musicali del passato. ‘Via Magenta’ invece era una traccia per piano e voce che andava a 90bpm e non a circa 68 come adesso. Ricordava Luigi Tenco e invece ora tradisce un po’ la sua intenzione iniziale. Produrre però è un po’ come tradire. Deve farti un po’ male, altrimenti sarebbe semplicemente fare il fonico.
E invece la canzone che ha guidato un po’ tutto il processo?
‘Il Dolore E’ Una Porta’. É stata la canzone con cui ho abbattuto a calci il periodo che stavo vivendo con i Siberia. Ha dato il via ad una scrittura più intimista.
In effetti è la canzone più legato al passato.
Sì, ma guarda. Anche con i Siberia ho quasi sempre scritto tutto io e la visione è sempre stata quella, magari con diversi gradi di purezza. All’inizio non c’era alcun pensiero. Poi, andando avanti, ti rendi conto che ci sono delle tendenze e inizialmente provi a proteggerti. Poi subentra il desiderio un po’ vanesio di fare dei numeri e capisci cosa è soddisfacente o meno per te. La canzone parla del dolore che ho provato in quel periodo, in cui la mia vita era cambiata di colpo.
Hai già pensato a come trasportare dal vivo il materiale?
Per adesso ho fatto un paio di date alternandomi tra pianoforte e chitarra ma con me ci sarà poi un violinista. Questo per cercare di mantenere un grado di intimità e dare un minimo di supporto sonoro. A partire da gennaio cercheremo di portare le canzoni in più club possibili.
So che sei un gran lettore. Ci sono degli scrittori che ti hanno influenzato particolarmente nell’ultimo periodo?
Mio padre è francese e anche se ho sempre avuto un rapporto abbastanza contraddittorio con la Francia, devo ammettere che di recente ho scoperto tanti autori interessanti come Michel Houellebecq, Joseph Ponthus, che purtroppo è mancato da poco, e Emmanuel Carrère. L’impressione è che in Francia ci sia più spazio per il politically incorrect. Houellebecq per esempio nasce dal comunismo, poi è stato addirittura accusato di islamofobia, eppure Sottomissione è considerato un tesoro nazionale. In Italia agli autori è concessa meno complessità e devono rientrare in determinati canoni a livello etico e politico.
La vita per te è solo bianco e nero?
Quello che mi interessa è non apparire come il cantautore di una volta. Se mi paragonano a qualche nome del passato non può che farmi piacere, ma la mia ambizione è di non essere del tutto derivativo. La musica indie in Italia ha avuto un impatto decisamente negativo, perché ha rotto quella sorta di Muro di Berlino che c’era tra la musica mainstream e quella alternativa e che consentiva tutto sommato ad entrambi i generi di sopravvivere in pace. Adesso il ragazzo che entra in sala prove a sedici-diciassette anni sa di dovere competere con Mahmood. Non c’è più un circuito alternativo a proteggerlo. Spero quindi di non presentarmi come un personaggio monodimensionale e che gli ascoltatori vedano la persona che c’è dietro a queste canzoni.