Il nuovo disco è un bomba e prima di parlarne vorrei capire come ci siete arrivati. Qual era la vostra visione quando avete iniziato? Sono cambiati gli obiettivi in questi anni?
La band è iniziata da un’idea mia e di Richie. Volevamo suonare con gente che avesse la giusta carica e soprattutto desiderasse portare avanti il concetto di rock n’ roll che più ci piace. In seguito abbiamo trovato Tommy e Max, che hanno contribuito alla missione. Secondo me siamo sempre sulla stessa linea. Non so se per gli altri ci siano stati degli obiettivi successivi ma la band è nata per suonare questa musica e farlo nel modo migliore possibile. Questo vale oggi come valeva il primo giorno.
Qual è stata la difficoltà più grande che avete incontrato da quando vi siete formati?
Ce ne sono state tante, ma credo sia normale per una band underground. Il genere che suoniamo non è mainstream se non in sparuti casi. Se non sei gli AC/DC, che fanno ancora sold out, la cosa più difficile è farsi sentire. Non solo suonare ciò che ci piace e farlo al meglio, ma anche raggiungere più persone possibili. È una battaglia che stiamo combattendo.
Queste difficoltà le ritroviamo nel disco?
I testi sono abbastanza vari e nascono dalle nostre esperienze. Non c’è una canzone che parla proprio di questa sorta di cavalcata nel mondo del rock n’ roll, ma parliamo di problemi personali o di storie di tutti i giorni. In un certo senso ‘Eat The Rich’ potrebbe essere intesa come anche come far crescere una piccola band e farla arrivare ad essere forte come quelle che dominano le classifiche.
Ecco perché un titolo come ‘And All Hell Broke Loose’.
Un po’ come scatenare l’inferno.
C’è un pezzo chiave? Non necessariamente il migliore ma un pezzo che vi rappresenta di più o che ha guidato tutto il processo..
Per me ‘Crazee You Say’, del quale abbiamo da poco lanciato il video, forse perché è il primo su cui abbiamo iniziato a lavorare insieme dopo l’uscita del debutto. É nata da un’idea di Richie ed è rimasta nel cassetto per diverso tempo.
Cosa volevate cambiare rispetto al primo disco in termini di arrangiamenti e produzione?
Sicuramente volevamo risultare un po’ più moderni. ‘Can’t Go Out’ e ‘Baby Boomer’ esemplificano forse più delle altre tracce questo nostro desiderio. Durante le sessioni di registrazione abbiamo provato diversi amplificatori per cercare di ottenere le sonorità che avevamo in mente e poi il mixaggio ed il mastering sono stati affidati a Dan Dixon, un produttore di Atlanta che in passato ha lavorato con formazioni come Tuk Smith And The Restless Hearts, Ravagers e The Biters. In ‘And All Hell Broke Loose’ puoi sentire la bellezza degli amplificatori ed il nostro tipico suono valvolare ma con una produzione da grande band. Una laccatura finale che fa apparire il disco attuale.
Perché proprio Dan Dixon?
Ci piacevano alcuni lavori che aveva mixato, soprattutto formazioni della zona di Atlanta, e abbiamo pensato di allontanarci dai soliti nomi di casa nostra. Quando ci ha fatto ascoltare il primo mix ci siamo resi conto che la direzione era quella giusto e dopo tre-quattro prove abbiamo completato il lavoro.
Dove avete registrato l’album? É stato un processo complicato?
Volevamo un suono di batteria molto centrale e per questo Richie ha scelto di registrare al Marzi Recording Studio. É uno studio che fa molto jazz e ha una sala grande con delle pareti molto alte. Chitarre, basso e voce invece sono stati registrati allo Slack Blue Audio. Yuri Pierini degli Antares ha un sacco di amplificatori vintage con cui abbiamo potuto divertirci. Poi c’erano tanti amici come Silvio Pasqualini dei Blitz ed i ragazzi degli Small Jackets, che sono venuti a trovarci quindi sono stati momenti molto belli. Anche chi ha fatto solo qualche urlo in studio ci ha resi felici.
I nuovi pezzi sono più live-oriented?
Non saprei risponderti. Mi diverto a suonare sia questi che quelli del debutto. Forse abbiamo preso un po’ di velocità.
Come siete entrati in Go Down Records?
Quella di Go Down è una realtà bellissima, che dura ormai da oltre vent’anni. Prima era tutto sopra al Sidro Club, dove venivano registrati i dischi e dove adesso vive Max. Lavorano con diverse band che stimiamo molto e quando abbiamo dovuto cercare un’etichetta abbiamo pensato di legarci a delle persone con cui i nostri amici si erano trovati bene. Siamo una grande famiglia e da poco c’è stato il Maximum Fest con The Devils, Conny Ochs e Little Albert. Una gran festa.
Il problema è che qui da noi scene di questo tipo non vanno per la maggiore.
In Germania ci sono quindici-venti radio rock che passano di tutto. In Italia ce n’è una e passa sempre le stesse canzoni mainstream. É difficile trovare spazio e c’è gap culturale da colmare.
Quali sono stati i vostri concerti più memorabili? E quelli disastrosi?
Tra i più memorabili sicuramente quello al Bay Fest di Bellaria. Un altro concerto molto bello è stato al Rock n’ Beer in Sardegna, per l’atmosfera che si è creata ma anche perché non ci aspettavamo tutta quella gente. Per quanto riguarda i disastrosi, non voglio fare cattiva pubblicità a certi locali ma il problema di fondo secondo me è che quando, dopo mezz’ora di soundcheck, non riesci a risolvere certi problemi è chiaro che ti trovi di fronte a dei fonici non proprio professionali. E lì sorgono problemi importanti.
(parole di Lena Mc Frison)